Questo corso è stato realizzato nel 2007, indirizzato ad un gruppo di docenti delle scuole medie superiori di Bari, all'interno di un programma di formazione formatori, promosso dalla Scola Centrale di Formazione.

  

Relazione e cambiamento

 

RAGIONARE SU SE STESSI:

Ruoli, identità e relazione nei processi di cambiamento

 

 

  

Interventi su

“Relazione e cambiamento”

 

RAGIONARE SU SE STESSI

Ruoli, identità e relazione nei processi di cambiamento

 

 

Gli interventi puntano a costruire dei modelli di immedesimazione tra le esperienze sociali dei partecipanti e il quadro logico del rapporto di relazione tra individuo e mondo sociale. All’interno del quadro logico verranno incrociate le definizioni istituzionali di ruolo e identità contestualizzate ai processi di trasformazione e cambiamento sociale del mondo globalizzato. Le fasi di “immedesimazione” con le esperienze concrete saranno funzionali a definire in quali termini le funzioni sociali dei partecipanti sono in linea con i veloci processi di cambiamento soprattutto nell’ambito del confronto generazionale. Le definizioni teoriche saranno intercalate su due livelli di realtà:

a. la realtà nella vita quotidiana

b. le realtà sociali dei singoli partecipanti

 

PIANO DI LAVORO

 

PARTE I:

RUOLI E IDENTITA’: LE INTERAZIONI FACCIA A FACCIA

-          Definizioni

-          Costruzione dell’altro e dimensione del riconoscimento 

-          Un caso reale: l’anoressia e il mondo giovanile

-          Il modello drammaturgico

PARTE II:

CONFUSIONE TRA SPAZIO PUBBLICO E SPAZIO PRIVATO

-          I Sé e i ruoli sociali

-          I nuovi ambienti sociali 

-          I palcoscenici sociali e gli ambienti comportamentali 

-          Confusione tra infanzia e maturità 

PARTE III:

SUPERAMENTO DELLA SEPARAZIONE TRA SPAZIO PUBBLICO E SPAZIO PRIVATO

-          Perdita del Sé

-          Costruzione mediata dell’identità

-          Alterazione dell’identità sociale

-          Libertà e simulazione

-          Deterritorializzazione

-          Pretese di status 

ALLEGATI

A. La crisi del legame sociale

B. Teoria del medium e rifondazione dei criteri storiografici

BIBLIOGRAFIA

 

 

 

PREMESSA 

 

 

In queste pagine, indagheremo schematicamente sul rapporto, direttamente proporzionale, tra i processi di trasformazione della società globale e i rapporti di relazione interpersonale. Per meglio dire, ciò che ci interessa comprendere è il modo in cui i cambiamenti tecnologici, espressi dall’avvento di nuovi media, e quindi di nuovi strumenti di comunicazione, ridefiniscono i rapporti di relazione tra le persone.

 

Sappiamo, dagli studi sulle comunicazioni di massa avviati da Marshiall McLuhan già dagli anni sessanta, che i mezzi di comunicazione possono essere definiti in termini di prolungamento dei sensi. Ecco perché, in ogni epoca, l’avvento di un nuovo medium ha riconfigurato i rapporti sociali tra le persone, le quali hanno avuto bisogno di fasi di adattamento, per allinearsi ai nuovi modelli di comportamento, la cui acquisizione o meno può innescare delle fratture tra le persone o tra generazioni differenti (ALLEGATO C).

 

Chi nel nostro mondo sociale svolge attività di relazione, ricopre funzioni professionali che hanno a che vedere con la conoscenza, si rapporta a generazioni diverse dalla propria, è più soggetto a vivere eventuali fratture rispetto ai processi di cambiamento, soprattutto se male li interpreta. Considerato poi che il sistema di controtendenze e il sovvertimento delle dinamiche sociali sono elementi che connotano la società contemporanea, il quadro in cui gli attori sociali si muovono è in continuo movimento, sempre più svuotato di punti di riferimento certi, sempre più società assente…

(ALLEGATO A)

 

le fratture innescate dai cambiamenti sociali non riguarda, QUINDI, esclusivamente chi esplica determinate funzioni professionali, ma riguarda in qualche modo tutti noi, nella nostra vita quotidiana di genitori, mariti o mogli, ecc… Questo perché la ridefinizione dei modelli comportamentali coinvolge direttamente il concetto di ruolo sociale, cioè la posizione che ognuno occupa nella società, e quindi anche il concetto di identità cioè la capacità di rispondere alla domanda “Chi sono?”

 

Gli interventi che seguiranno non sono certamente finalizzati a dare risposte esistenziali a nessuno poiché non è questo l’oggetto di studio, possono invece essere considerati una mappa attraverso cui trovare delle indicazioni direzionali per districarsi tra i velocissimi cambiamenti del nostro mondo. In questo senso, i concetti teorici e di scenario devono essere contestualizzati e riportati al vissuto quotidiano, in maniera tale da poter ragionare su se stessi, nei rapporti di lavoro e negli scambi interpersonali.

  

 

PARTE I 

 

RUOLI E IDENTITA’:

LE INTERAZIONI FACCIA A FACCIA

 

Parole chiave:

Differenza tra sé e altro da sé, Disconoscimento e riconoscimento, Scena e retroscena 

 

 

Fonte di analisi:

“Identità e Alterità”,

http://www.sociologia.unimib.it/wcms/file/materiali/2879.pdf

 

 

Definizioni

 

Il concetto di Sé

Il concetto di Sé di un individuo è nell’insieme un riflesso delle opinioni degli altri sull’individuo stesso, cioè l’idea che noi abbiamo del modo in cui gli altri, quindi il mondo sociale, ci osserva e ci giudica.

            La società fornisce uno specchio in cui l’individuo scopre la sua immagine o una definizione di sé.

            Il modo di considerare se stessi è, dunque, intrecciato in modo complesso ai rapporti sociali: di conseguenza, tali concezioni possono essere molto fragili. Ci si pone il problema di come possano gli individui mantenere stabili nel tempo la loro immagine di sé.

            L’immagine di sé viene a svilupparsi osservando i modi in cui si distingue dagli altri: osservare le differenze serve ad accrescere la coscienza di una particolare caratteristica, e questa diviene un mezzo di identificazione personale. Il modo in cui noi ci definiamo dipende dalle risposte e dalla presenza degli altri. Noi impariamo a conoscerci osservando il modo in cui gli altri reagiscono al nostro comportamento, confrontandoci con coloro che ci circondano, e concentrandoci su quegli aspetti del nostro sé che ci distinguono dagli altri.

 

 Il concetto di ruolo sociale

La socializzazione è il processo con cui apprendiamo le norme sociali, costruendo abilità e atteggiamenti legati al ruolo sociale, cioè all’insieme di comportamenti attesi e richiesti ad un individuo per il fatto che esso occupa una specifica posizione in una società. Per ruolo sociale si intende l'insieme delle aspettative socialmente definite che vengono rispettate dai soggetti collocati in un determinato status o posizione sociale.

 

 Il concetto di Staus

Lo status è l'aspetto strutturale di una posizione sociale. Sebbene sia indistinguibile dal ruolo, che ne rappresenta invece l'aspetto dinamico, il concetto di status mette in rilievo il fatto che ad una posizione sociale sono connessi dei modelli culturali che ne definiscono l'insieme dei diritti e doveri a prescindere da coloro che concretamente occupano tale posizione.

Uno status, a seconda del sistema di relazioni sociali dal quale è definito, può essere determinato:

  1. dalla competizione e quindi conseguito volontariamente dall'individuo in base al possesso di determinate capacità o abilità funzionali (status acquisito).

 Il concetto di sistema sociale

  

Il sistema sociale può essere considerato come un insieme attivo di elementi interconnessi. Le parti o componenti di un sistema sociale sono legati tra di loro in modo organizzato e complesso, per cui esse possono essere soggette ad alterazione qualora vengano estratte o inserite nel sistema.

 

 

 Il concetto di integrazione sociale

Il concetto di integrazione sociale è riferito, di solito, alla interdipendenza tra le parti di un sistema sociale e al suo stato di equilibrio. Quanto più le parti del sistema sono coordinate tra loro e contribuiscono al buon andamento del tutto, riducendo le spinte divergenti e ricomponendo gli eventuali conflitti, tanto più il sistema è definibile come integrato.

 

L’identità tra costruzione dell’altro e dimensione del riconoscimento

 

Nella storia della filosofia e delle scienze sociali, esistono almeno due concezioni di identità, una essenzialista, l’altra di tipo convenzionalistico. Nella prima, che può esser fatta risalire ad Aristotele, l’identità “c’è” e ha soltanto da essere “scoperta”; nella seconda (quale per esempio illustrata, negli anni trenta del Novecento, dal matematico Friedrich Waisman) non esiste l’identità, bensì esistono modi diversi di organizzare il concetto di identità. L’identità viene, in qualche modo, sempre “costruita” o “inventata”. In linea con quest’ultima ampia accezione, la riflessione contemporanea sull’identità tende a evitare concezioni sostanzialistiche e a cogliere analiticamente le sue molteplici componenti.

 

Che cos’è l’identità?

La capacità di porsi e rispondere alla domanda chi sono?

L’identità è composta da:

- Individuazione: capacità di stabilire una differenza tra sé e altro da sé (identità personale/individuale)

- Identificazione: capacità di percepirsi parte di una relazione e la disponibilità a con-fondersi (identità sociale)

 

Principale divisione:

Identità personale

(soggetto individuale)

identità collettiva

(gruppi di individui)

 

 

La trasposizione del concetto di identità dal piano personale a quello collettivo (connessa soprattutto agli studi sociologici, antropologici e storici sull’etnicità e sui movimenti sociali) ha suscitato non pochi problemi metodologici, alimentando timori di indebite ipostatizzazioni. In realtà, anche l’identità collettiva, come strumento teorico e analitico, non si presenta come un’entità unitaria, una totalità del tutto esterna e costrittiva rispetto agli individui, un dato o legame primordiale immodificabile, ma come risultante dinamica di un processo di costruzione e modificazione di confini. In tal senso, l’identità collettiva mostra un aspetto soggettivo e uno oggettivo, rimanda cioè sia a categorie sociali esterne (il problema della distribuzione delle risorse, ad esempio) sia all’autopercezione.

 

 Le dimensioni dell’identità

 Locativa

Grazie ad essa che l’individuo si pone all’interno di un campo simbolico, ossia entro confini che lo rendono affine ad altri che con lui li condividono.

Selettiva

L’individuo, in seguito alla definizione dei propri confini e all’assunzione di un sistema di rilevanza, risulta capace di ordinare le proprie preferenze e di scegliere tra alternative. 

Integrativa

Essa permette all’individuo di possedere una mappa interpretativa capace di intrecciare e ricollegare le esperienze passate, presenti e future in seno ad un’unità biografica. Inoltre, essa riguarda la necessità di allineare motivazioni e credenze differenti vincolate ai molteplici ruoli occupati.

 

Soprattutto in sede antropologica è stata tuttavia sostenuta la necessità di superare anche questa dicotomia prospettica esterna/interna, perché l’alterità non solo esiste, non solo è inevitabile, ma è anche interna all’identità stessa.

Nelle società contemporanee il principale tema che riguarda la costruzione dell’identità sociale può essere sintetizzato nella relazione “Disconoscimento/Riconoscimento”.

 

La complessità sociale presuppone: 

  1. Crescente differenziazione sociale
  2. Rilevanza della dimensione simbolica dei processi di differenziazione

. crescente creazione di codici e segnali

. pluralizzazione dei modelli culturali

. moltiplicazione di possibilità e scelte tra le quali il soggetto si districa

  1. Processi di individualizzazione
  2. La complessità sociale presuppone anche l’identità come problema

. identità priva di certezze

. frammentata in una pluralità di sé

Come si configura

. Si configura come un campo relazionale

. Da concetto unitario, integrale e coerente, l’identità contemporanea diventa ambivalente e processuale

Come si costruisce

. E’ frutto di un’opera di costante costruzione e invenzione

. Diventa frutto di una scelta operata dal soggetto

. Rinvia al carattere allegorico della maschera

 

Soprattutto nell’epoca contemporanea il principale elemento di confronto dell’identità rimane la differenza e l’alterità

 

Paura dell’alterità

L’identità della comunità ‘invasa’ può agire in due modi:

. Negazione dell’alterità attraverso il non vedere, il non voler riconoscere gli altri o altre possibilità;

Accettazione dell’alterità

Accanto alle pratiche più feroci di allontanamento dell’Altro e di misconoscimento, si intravedono tiepide forme di riconoscimento che, in modo progressivo e consistente, si consolidano

. Ammissione dell’alterità e della sua consapevole inevitabilità

. Approssimazione dell’alterità che finisce così con l’accompagnare costantemente l’identità ma sempre come elemento esterno

 

La dimensione del riconoscimento

Il riconoscimento rappresenta l’elemento di ulteriore problematizzazione del concetto di identità e del suo rapporto con l’alterità. Il riconoscimento appare come un’operazione speculare a quella della costruzione identitaria,

 

Due dimensioni del riconoscimento:

. capacità di riconoscersi (auto-riconoscimento)

. di essere riconosciuti (etero-riconoscimento)

 

Le implicazioni del riconoscimento

Il riconoscimento reciproco risulta un elemento cruciale del processo di costruzione relazionale dell’identità ma rappresenta l’elemento che mette in luce una ‹‹tensione irrisolta e irrisolvibile›› tra la definizione che ognuno attribuisce a se stesso e il riconoscimento che gli altri ci attribuiscono.

 

L’importanza che il riconoscimento assume è enfatizzata dal timore costante da parte del soggetto dell’indifferenza dell’altro. Non solo, ma il riconoscimento dell’altro è così cruciale che spesso il soggetto preferisce i giudizi negativi al non essere visto.

 

I due piani del riconoscimento 

. Riconoscimento intersoggettivo (vita quotidiana)

. Riconoscimento ‘normativo’ (sfera pubblica)

Il riconoscimento è il concetto strategico per rapportare il sé dell’identità e il suo rapporto con l’alterità ad un contesto sociale più esteso, quello pubblico.

 

Un caso reale: l’anoressia e il mondo giovanile

 

Secondo la prospettiva linguistica i disturbi del comportamento alimentare sono classificabili come disturbi della comunicazione con se stessi (es. percezione alterata del proprio corpo e della propria emotività) e con gli altri. Da tale premessa consegue che i soggetti anoressici/bulimici possano essere considerati una comunità di parlanti con un linguaggio apparentemente uguale al senso comune, ma invece diversamente connotato; dietro messaggi verbali si nascondono particolari nuclei semantici, detti MOTIVI NARRATIVI. L’incrocio dei moduli narrativi ai paradigmi dell’auto-riconoscimento e dell’etero-riconoscimento ci permettono di tracciare un quadro, seppur generale, sulle dimensioni identitarie dei soggetti in questione.

 

(Allegato A)

 

Il modello drammaturgico

 

Cos’è il modello drammaturgico?

 

Nel modello drammaturgico la vita sociale è vista come se fosse interpretata da attori che recitano su un palcoscenico, o su molti palcoscenici, in quanto il comportamento dipende dal ruolo interpretato in un dato momento. Gli individui sono molto sensibili al modo in cui sono visti dagli altri e ricorrono a molteplici forme di controllo delle impressioni per assicurarsi che questi reagiscano nel modo desiderato.

 

Ribalta (o scena) e retroscena

 

Secondo Goffman, gran parte della vita sociale può essere divisa tra ribalta e retroscena. La ribalta è costituita da quelle circostanze sociali in cui gli individui agiscono secondo ruoli formalizzati o codificati: si tratta cioè di rappresentazioni sceniche. I retroscena sono quegli spazi in cui gli individui approntano gli arredi scenici e si preparano all'interazione che dovrà avvenire in contesti più formali. I retroscena ricordano ciò che avviene dietro le quinte di un teatro.

 

Le interazioni faccia a faccia

 

In termini di interazioni non focalizzate e focalizzate. 

Le interazioni non focalizzate, secondo Goffman, si verificano nelle circostanze in cui grandi quantità di persone si trovano insieme come in una strada affollata, in una festa ecc... Qui l'individuo si trova in presenza di altri, e senza parlare direttamente intrattiene comunque una comunicazione non verbale, fatta di gesti.

Le interazioni focalizzate hanno luogo quando un individuo presta direttamente attenzione a ciò che gli altri dicono o fanno. Goffmann chiama una unità di interazione focalizzata il termine incontro.

 

 

 

PARTE II 

 

CONFUSIONE TRA SPAZIO PUBBLICO E SPAZIO PRIVATO

 

Parole chiave:

Il senso del luogo, Riorganizzazione dei palcoscenici sociali, Ridefinizione dei modelli di comportamento, Informazioni come spazi sociali.

 

Fonte di analisi: Meyrowitz, J., “Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale”, Baskerville, 1993.

 

I Sé e i ruoli sociali

 

I media elettronici hanno progressivamente invaso le situazioni che si verificano in ambienti fisicamente definiti. La forma della comunicazione mediata assomiglia sempre più alla forma dell’ interazione faccia a faccia. In misura sempre crescente, i media ci trasformano in spettatori “in diretta” di accadimenti che avvengono in altri luoghi e ci fanno accedere a pubblici che non sono fisicamente presenti.

 

            Riunendo tanti diversi tipi di persone nello stesso “luogo”, i media elettronici hanno favorito la confusione di tanti ruoli sociali un tempo distinti.

            Gli individui cambiano continuamente ruoli e costumi, imparano ed aderiscono ad una diversa matrice di comportamento convenzionale e si impegnano con costanza per mantenere la loro rappresentazione in ogni loro situazione, senza compromettere o minacciare i loro differenti comportamenti in altre situazioni sociali.

 

            Le persone devono assorbire le convenzioni sociali, devono esercitarsi, fare le prove e mantenere le loro rappresentazioni.

            Il comportamento può cambiare da un luogo all’altro ma, in genere, non variano né i modi in cui esso cambia nelle situazioni per le quali esso muta.

 

            Il meccanismo attraverso il quale i media elettronici influiscono sul comportamento sociale è riconoscibile nella ristrutturazione dei palcoscenici sociali sui quali interpretiamo i nostri ruoli e di conseguenza, il cambiamento della nostra concezione di “comportamento appropriato”: quando cambiano i pubblici cambiano anche le rappresentazioni sociali.  

            Da ciò si evince che l’influenza della televisione non agisce attraverso il contenuto del messaggio ma nella creazione di nuovi ambienti sociali che cambiano a seconda delle situazioni. In tal senso cambia anche il concetto di Sé, poiché, all’interno di ogni ambiente dobbiamo proiettare una immagine diversa a seconda del ruolo sociale che ricopriamo.

 

In tal senso è possibile dire che esiste un rapporto strettamente connesso tra medium e opinione pubblica non nel senso del condizionamento comportamentale ma nella ridefinizione dei rapporti interpersonali.

 

 

 

I nuovi ambienti sociali

 

            I media non sono, dunque, semplicemente dei canali che trasmettono informazioni tra due o più ambienti, ma piuttosto ambienti in se stessi.

 

           Il concetto di “Villaggio Globale”, espressione ormai d’uso comune, sta proprio a significare che i sensori elettronici ci ripropongono su vasta scala incontri simili a quelli che avvenivano negli antichi villaggi. La diffusione della televisione ha portato al coinvolgimento di ognuno nei problemi di chiunque altro, abolendo il senso del luogo e dello spazio.

 

Sono stati abbattuti i muri che isolano il privato dal pubblico; tutti siamo compartecipi di mondi, cioè di ambienti, che prima ci erano sconosciuti poiché isolati dalle mura domestiche, per cui i modelli di comportamento erano determinati da una netta separazione tra ciò che appartiene alla sfera privata e ciò che appartiene a quella pubblica.

 

Questo processo è stato praticamente innescato negli anni sessanta negli Stati Uniti, quando i problemi della minoranza afroamericana, attraverso la televisione, sono diventati problemi della comunità sociale nel suo complesso, così come il femminismo e lo scontro generazionale. A tutta questa serie di problematiche traghettate dal privato al pubblico, la gente è stata, in qualche modo, costretta a confrontarsi, e ciò ha creato ambienti sociali e modelli di comportamento del tutto nuovi da quelli precedenti.

 

I palcoscenici sociali e gli ambienti comportamentali

           

            Nell’ambito dell’interazione sociale, le relazioni interpersonali possono essere codificate prendendo in prestito il modello drammaturgico, all’interno del quale è possibile definire il rapporto individuo-società in termini di “messa in scena”, dove gli spazi sociali si articolano su due diversi piani: scena e retroscena. La scena corrisponde allo spazio pubblico, in cui tutti noi interpretiamo il nostro ruolo sociale legato al Sé. Il retroscena è lo spazio privato, dove, in un certo senso, ci spogliamo del ruolo sociale, lasciandoci andare spesso alle nostre debolezze. Lo spazio di retroscena è anche utile per la preparazione di quello che poi succederà sulla scena.

            La domanda da porsi a tal punto è una sola: è il luogo fisico a distinguere la scena dal retroscena o no? Cioè a dire: Qual’ è l’elemento che definisce la situazione di scena dalla situazione di retroscena? Facciamo un esempio…

            Un ristorante ha degli spazi sociali nettamente definiti; infatti noi sappiamo che la sala è il luogo in cui i clienti consumano i pasti, mentre la cucina è il luogo in cui cuochi e camerieri preparano e organizzano le ordinazioni. Il primo è sicuramente uno spazio di scena mentre il secondo è lo spazio di retroscena. Nella sala i camerieri hanno un atteggiamento posturale e verbale serio e professionale, sempre attento ai bisogni della clientela, invece in cucina possono usare linguaggi e atteggiamenti assolutamente rilassati e privi di self-control. In tal senso la definizione della situazione sociale sembra essere data dal luogo fisico. Immaginiamo però che, per un caso accidentale, il citofono che collega la sala alla cucina, per le ordinazioni, rimanga aperto inavvertitamente, ciò significa che i clienti ascolteranno le espressioni da retroscena dei camerieri… In questo modo verranno a confondersi gli spazi sociali definiti istituzionalmente, poiché sono cadute le barriere che separano il privato dal pubblico. Oppure possiamo immaginare la fase precedente all’apertura del ristorante quando i cuochi e i camerieri consumano la loro cena in un tavolo della sala successivamente riservata ai clienti. In quel momento lo spazio di scena si trasformerà in retroscena, per cui la definizione della situazione sociale varierà in rapporto ai tempi di lavorazione.

 

 

Non è il luogo fisico a definire la situazione ma le informazioni che si hanno, poiché sulle informazioni si basa la differenziazione tra spazio privato e spazio pubblico.

           

Se questo tipo di dinamiche caratterizzano i rapporti interpersonali, la televisione è intervenuta a condizionarne le modalità, proprio perché ha ricoperto la funzione del citofono aperto nel ristorante… Attraverso il sovraccarico di informazioni il medium televisivo ha abbattuto i muri che separano gli spazi pubblici da quelli privati o per meglio dire ha ricodificato i rapporti interpersonali fondendo il privato col pubblico.

In questo modo ci si è trovati di fronte a nuove situazioni sociali che possiamo definire in termini di “ambienti”.

 

Nuovi ambienti hanno bisogno di nuovi modelli di comportamento in rapporto al contenuto di senso. In questa direzione si sono trasformati i rapporti di genere tra uomo e donna, i rapporti gerarchici tra infanzia ed età adulta, i rapporti di potere tra cittadini e governanti. Facciamo un esempio…

 

Immaginiamo una famiglia borghese al tempo in cui la televisione era in bianco e nero. In cucina vi sono i due genitori e il loro figlio di undici anni. La cena è stata consumata e la mamma sparecchia la tavola. Ad un certo punto i due coniugi intraprendono un discorso un pò osé per cui si premurano di mandare a letto il figlio per non fargli ascoltare la disquisizione. In questa situazione i due coniugi hanno determinato una netta separazione tra spazi di scena e retroscena, poiché il tipo di informazioni che stanno facendo circuitare non appartengono al repertorio del bambino, quindi la separazione nel luogo fisico rappresenta l’impossibilità di accedere alle informazioni da parte dell’infante. Questa situazione, naturalmente, è il frutto dei modelli comportamentali di trent’anni fa, con quel tipo di codici morali e di sistemi etici.

Immaginiamo adesso la stessa situazione ai giorni nostri. La domanda da porsi è: avrebbe senso mandare a letto il bambino per una discussione di sesso? Diciamo che oggi, nella generalità dei casi, è molto difficile che ciò accada, poiché quel tipo di informazioni che trent’anni fa erano negate ad un bambino di otto anni oggi non lo sono più, perché è la televisione stessa a fornirgliele. Un bambino oggi conosce molte più cose sul sesso e questo determina nel genitore un modello comportamentale da adottare completamente diverso. Cioè a dire: la televisione in questo caso anticipa le coordinate morali del genitore, abolendo lo spazio di scena, introducendo il bambino nel retroscena informativo che un tempo gli era negato. Questo crea un ambiente completamente diverso da trent’anni fa che richiede un comportamento genitoriale differente.

Ecco il motivo che ci porta a definire il condizionamento del medium televisivo non in termini di contenuto ma in termini di creazione di nuovi ambienti comportamentali, che descrivono il mondo sociale in funzione della “definizione delle situazioni”, che richiedono modelli di comportamento diversi a seconda del modo in cui la situazione viene definita. Questo determina che ogni situazione, a seconda della sua definizione, ha bisogno di un nuovo comportamento, generando non un ruolo sociale ma diversi ruoli sociali a seconda della diversità delle situazioni. Ovviamente diversi ruoli di scena presuppongono la differenziazione dei Sé.

Possiamo concludere dicendo che la creazione degli ambienti comportamentali genera la capacità per ogni individuo di adottare un Sé diverso per ogni nuovo ambiente che ci si presenta.

 

Confusione tra infanzia e maturità

 

Dallo studio e dalle varie ricerche effettuate sulle modalità della crescita e dello sviluppo umano è emerso che le differenze tra bambini e adulti, e bambini e persone di età diversa, possono essere rintracciate dalle diverse capacità e percezioni che essi hanno della realtà.

Al giorno d’oggi i bambini sono trattati come “piccoli adulti” per far si che gli individui di età diverse condividano ruoli, diritti, e responsabilità simili.

            Negli anni precedenti, invece, l’infanzia era considerata un periodo di innocenza e isolamento in quanto il bambino veniva protetto dalle realtà sgradevoli della vita, ma non solo, anche il linguaggio e il modo di vestire caratterizzava il loro ”status”

 

Negli ultimi trent’anni, l’immagine e i ruoli dei bambini hanno subito un radicale cambiamento; essi sembrano meno infantili non solo nel modo di parlare ma anche nel modo in cui si vestono e si comportano. La differenza tra bambini e adulti sta ormai scomparendo, basta osservare casualmente il modo in cui essi si siedono o si atteggiano per capirne il grado di omogeneità.

 

Anche le differenze di linguaggio e di vocabolario stanno via via scomparendo; il linguaggio dei bambini è diventato molto più adulto e quello adulto più infantile    

Tali cambiamenti sebbene possono sembrare esagerati indicano un atteggiamento ampiamente mutato nei confronti del bambino.

Oggi l’obbiettivo principale tende alla reintegrazione dei bambini e degli adulti, poiché si è maggiormente diffuso questo senso di parità tra genitori e bambini.

I processi attraverso i quali è possibile riscontrare i cambiamenti nei concetti d’infanzia e maturità sta nell’esaminare le variabili sociali che influiscono sul comportamento di ogni individuo, sebbene un bambino piccolo, a prescindere dalla libertà o dai privilegi che gli vengono concessi non può essere considerato un adulto. Si possono osservare bambini e adulti ma, di fatto, non si sa dove passano i confini delle fasi dell’infanzia e i confini che separano infanzia e maturità.

 

Un’altra variabile è la quantità e il tipo di informazioni offerte ai bambini di diverse età. Studi recenti hanno avanzato l’ipotesi che gli influssi del medium sui bambini dipenda dal poco controllo dei genitori nel modo in cui questi guardano la televisione; ma la televisione non deve essere vista come un trasmettitore passivo d’informazioni quanto un mezzo di reintegrazione tra adulti e bambini.

 

La conoscenza del bambino dipende molto dal luogo in cui il bambino vive e la casa rappresenta per lui un ”piccolo mondo” dove la famiglia funge da schermo protettivo nei confronti della società.

 

Le caratteristiche situazionali di un medium possono interagire con le regole generali del comportamento sociale e cambiare la natura dell'interazione sociale.

 

La complessità variabile del codice nella stampa serve non solo ad isolare i bambini dagli adulti, ma anche gli adulti dalle situazioni infantili. Per questo motivo," i libri dei bambini", godono di due particolarità: sono libri che i bambini sanno leggere e libri che sono letti solo da loro. Lo stesso non si può dire della televisione, in quanto essa non prevede un codice che escluda i bambini o suddivida il pubblico in diversi settori.

            Uno degli elementi più importanti per il bambino è dato dal suo livello di sviluppo cognitivo; da varie ricerche è emerso che i bambini di età diverse, guardando la televisione, percepiscono cose diverse e che la massima capacità della televisione di integrare i bambini nelle situazioni adulte, avviene a partire dagli undici anni.

            Inoltre la televisione, come dicevamo, presenta ai bambini argomenti e comportamenti che per secoli i genitori hanno cercato di nascondere; il che li porta ad addentrarsi entro il mondo degli adulti destando in loro interrogativi che senza la presenza della televisione non avrebbero ancora conosciuto e ancora, da studi recenti si evince che le scelte dei bambini sono indirizzate per lo più verso i programmi destinati agli adulti.

            Attraverso i media elettronici ai bambini è data la possibilità di comunicare e ascoltare gli altri bambini in quanto i requisiti richiesti per trasmettere un messaggio telefonico o televisivo sono abbastanza semplici. Oggi, è emerso che, la realtà della prima parte della vita rimane in gran parte un mondo segreto a cui si può accedere solo in parte, tramite i ricordi ma per mezzo dei media elettronici i bambini possono parlare direttamente al futuro.

            Una delle caratteristiche principali dei libri, è quella di fornire informazioni accessibili ai bambini ed essendo oggetti individuali è possibile sceglierli e darli ai bambini, secondo determinati criteri. Per quel che riguarda la televisione, questo controllo non è altrettanto facile da attuare poiché censurarla, comporterebbe un monitoraggio attivo e costante da parte dei genitori che assumerebbero una posizione scomoda, nel processo di apprendimento dei ragazzi. Quindi, sta a loro valutare il contenuto della televisione e decidere se è adatto per i propri figli o meno, cercando di limitare la propria fruizione televisiva o cosa peggiore dividere la famiglia. Ma paradossalmente avviene che i consigli dati dalla televisione, circa la scelta dei programmi, portino ad aumentare l'interesse dei bambini verso l'emissione sconsigliata.

            Erroneamente, si pensa che la televisione sia "rivelatrice" dei segreti degli adulti, per quanto i bambini siano già a conoscenza dei ruoli tradizionali che essi hanno e delle loro cospirazioni atte a nascondergli le cose "proibite". Il problema fondamentale è che, censurando la televisione per bambini, si censura anche la televisione degli adulti.

            Anche i film hanno una loro importanza sull'interazione bambino - adulto, in quanto anch'essi constano di un codice audiovisivo simile a quello televisivo, con caratteristiche fisiche e condizioni di fruizioni ben diverse dalla televisione. La scelta di un film, al cinema, implica una dinamica di selezione diversa da quella dell' uso del telecomando televisivo, mediante il quale i bambini ricevono informazioni che non avevano richiesto.

            A differenza di quest' ultimo, la radio, rappresenta invece un altro mezzo di comunicazione esclusivamente uditivo e verbale in quanto non ha immagini. I bambini si trovano in netto svantaggio rispetto agli ascoltatori adulti perché, ascoltando la radio devono creare le proprie immagini basandosi sulle esperienze passate.

            E' anche vero che la radio è molto "visiva" in quanto esige dall'ascoltatore la creazione di una propria immagine, chiaramente diversa dall'immagine televisiva. Ecco perché i due media hanno possibilità diverse di influire sui concetti che i bambini hanno della vita adulta.

Altro ruolo fondamentale nella fase di apprendimento dei bambini, è svolto dalla scuola, che ha un doppio potere. Infatti, oltre ad insegnare ai bambini le conoscenze sociali insegna loro anche il tipo di capacità richiesta per accedere ad altre informazioni, ovvero la lettura. Attraverso la scuola, i bambini rompono le barriere che circondano la sfera familiare, accedendo alle informazioni sul mondo esterno. Attraverso poi la lettura della stampa, a cui la scuola è strettamente collegata, si possono ampliare le conoscenze sul mondo esterno.

            Il bambino accrescendo i propri livelli di lettura riesce ad avere una prospettiva più adulta su ciò che ha già appreso. Suddividendo in classi il ciclo scolastico, il flusso informativo soprattutto nelle prime classi è unidirezionale e lineare, ovvero le informazioni passano dagli insegnanti agli studenti. La televisione, invece, supera questa linearità, in quanto, non suddivide il pubblico in età diverse e non segue nemmeno un ordine particolare nel trasmettere informazioni particolari. Nei programmi informativi e di intrattenimento ai bambini si propina una realtà senza barriere, pertanto crescono rapidamente, e con una visione della società e dei ruoli profondamente diversa da quella dei bambini delle altre generazioni.

E' proprio per questo che gli insegnanti contemporanei hanno perso il cosiddetto monopolio sui bambini, in quanto oggi, rispetto al passato i bambini imparano quello che vogliono tramite la Tv, e non quello che i docenti vogliono loro insegnare.

Il bambino oggi non passa più, come in passato, alla fase dell'analfabetizzazione, a quella della conoscenza strutturale che gli viene impartita a scuola; infatti, quando un bambino diventa allievo entrando in una scuola non è più analfabeta totalmente come in passato, ma già possiede una vasta cultura strutturata a mosaico.

Sicuramente in questo contesto l'unico modo per la scuola di essere ancora considerata dai suoi alunni come una struttura in grado di impartire informazioni, è vivere ed evolversi al passo con i tempi. Uno dei modi potrebbe essere per esempio creare delle classi miste in cui si trovano a confronto dei bambini appartenenti a classi sociali diverse, che hanno culture ed esperienze totalmente diverse dai propri compagni, che possono trasmettere nuove conoscenze ed ampliare le proprie in base a quelle degli altri.

 

PARTE III 

 

 

SUPERAMENTO DELLA SEPARAZIONE

TRA SPAZIO PUBBLICO

E SPAZIO PRIVATO

 

Parole chiave:

Perdita del Sé, Costruzione mediata dell’identità, Alterazione dell’identità sociale, Libertà e simulazione, Deterritorializzazione, Pretese di status

 

Fonti di analisi: PAZLAB – Libero Fornitore di Contenuti, Effetto Albemuth - Notizie, commenti, conflitti e immaginari sulla e dalla Rete, 25 Luglio, 2005,

http://www.pazlab.net/formenti/le-luci-del-retroscena/

Perugini, A., “Deterritorializzazione nella società dell’informazione,

http://www.harlock.it/download/DETERRITORIALIZZAZIONE.doc

 

Effetti del superamento nella separazione tra pubblico e privato

 

I caso

 

La protagonista del primo è una giornalista del “New York Times” che si chiama Stephanie Rosenbloom. Con garbo e ironia, la Rosenbloom spiega come chiunque digiti il suo nome nello spazio di ricerca di Google venga rinviato a una pagina Web in cui compare la foto di un’esile brunetta che indossa scarpe da ginnastica e “nuota” fra le pieghe di una T-shirt formato XL. Un caso di omonimia? No, quella ragazza è proprio lei, ritratta nell’inverno del 1996 durante le prove di uno spettacolo teatrale organizzato dal suo college. Il problema è che il bruco di dieci anni fa si è trasformato in farfalla: la Stephanie Rosenbloom di oggi è una bionda, elegante e autorevole professionista e gradirebbe che i lettori, qualora la curiosità li spingesse a usare Internet per scoprire che faccia si nasconde dietro la sua firma, potessero vederla così come appare attualmente. Ma ottenere un simile risultato si è rivelato tutt’altro che semplice. Da un lato, il personale di Google le ha spiegato che rimuovere quella vecchia immagine comporta complessi problemi tecnici che, di solito, vengono affrontati solo nei casi di palese e grave danno all’immagine pubblica di una persona. Dall’altro gli amici smanettoni le hanno spiegato che l’unico modo per assumere un certo controllo sulla propria immagine online consiste nell’assecondare la logica del mezzo, consigliandole quindi di creare un personal blog e promettendo che così – a condizione che la pagina riesca a calamitare un congruo numero di link - saranno le sue nuove foto a comparire in cima agli esiti di eventuali ricerche.

L’obiettivo della giornalista è quello di essere valutata e trattata dai lettori “per quello che è: ”per il ruolo che desidera recitare e vedere riconosciuto in questa fase della sua vita, vale a dire un’autorevole e affascinante giornalista del “New York Times”.

Ma l’immagine del suo passato che riemerge dagli algoritmi di ricerca rovina la recita, consentendo al pubblico di mettere in dubbio le sue “credenziali”.

In particolare, quella che viene messa in crisi è una delle strategie sociali che consente all’attore di venire a capo delle resistenze del pubblico.

 

L’attore sociale può perdere la sua capacità di definizione del Sé, poiché altri eventi autonomi si sono sviluppati, a definirne l’dentità sociale, attraverso l’intervento del medium.

 

II caso

 

Allison Martin è una giovane ragazza di Chicago che, in un’intervista pubblicata su “Usa Today”, rivendica con queste parole la “sincerità” con cui si racconta ai lettori del suo blog: “Dal momento che presumo che quelli che visitano la mia pagina siano tutti amici, o almeno conoscenti, la mia filosofia è quella di essere del tutto onesta – sia che si tratti di confessare quanto sono scomodi i miei pantaloni a tubino, sia che si tratti di esprimere un’opinione in merito al Primo Emendamento della Costituzione americana”. Il guaio è, commenta l’intervistatrice nel proseguo dell’articolo, che i giovani blogger come Allison non si rendono conto di due fatti: chiunque, non solo gli amici, può accedere alle loro pagine, tutto ciò che viene pubblicato su Internet è per definizione “indelebile”, e potrà essere spiato da sguardi indiscreti anche fra decenni.

La diffusa inconsapevolezza in merito ai “danni collaterali” di un eccesso di sincerità, ammonisce l’articolo, ha già prodotto molte vittime (lavoratori licenziati per avere rivelato particolari delicati della vita d’ufficio, ragazze costrette a subire avance telefoniche dopo avere reso noto il numero del proprio cellulare, ecc) e potrebbe rivelarsi devastante per i protagonisti di future carriere professionali o politiche, esponendoli a potenziali ricatti.

 

Un surplus di informazioni permettono di rendere pubblico il privato, mettendo in condizione chiunque di condizionare la sfera privata, anche a distanza di tempo.

 

Sherry Turckle, l’antropologa del cyberspazio si è avventurata a studiare il sistema delle reti virtuali, attraverso il modello relazionale costruito su MUD e chat, vale a dire sui giochi di ruolo e sui programmi di dialogo interattivo in tempo reale fra più utenti connessi via Internet. Mediante questi studi viene individuato lo strumento in grado di consentire all’individuo una sorta di controllo totale sulla messa in scena della/delle propria/proprie identità. L’antropologa introduce un elemento in più nello studio di Meyrowitz sui media elettronici costruiti all’interno del modello drammaturgico di Goffman.

 

Il modello della Turckle attribuisce alle relazioni mediate dal computer - emancipate dai vincoli spazio-temporali delle relazioni faccia a faccia – la proprietà di offrire all’individuo-attore un livello assai più elevato di libertà: il gioco delle identità si apre a infinte alternative (tante quante sono le “finestre” che un programma consente di tenere contemporaneamente aperte sullo schermo del computer) grazie al fatto che il palcoscenico non è più interfaccia trasparente della relazione io-altri ma si trasforma in una sorta di specchio in cui l’attore si riflette, decidendo di volta in volta quale maschera indossare.

 

Quando ci confrontiamo con la nostra immagine nello specchio-schermo del computer, arriviamo progressivamente a vederci in modo diverso. Non più sottoposta alla verifica del pubblico, che non vede più il mio volto ma solo la traccia delle parole che compaiono sullo schermo; la mia performance diventa molto più libera, consentendomi ampi margini di sperimentazione. Al riparo dallo sguardo altrui, protetto dall’anonimato, perché in Rete si viene identificati da uno o più nickname, non dal vero nome, non sei più costretto a preoccuparti del ruolo professionale, appartenenza di genere, età, appartenenza etnica, religiosa o ideologica, ecc… in cui gli altri tendono a inquadrarti ma puoi “essere chiunque tu voglia essere”.

 

 

Si tratta di un processo che raggiunge l’acme con la rapida diffusione della comunicazione mediata dal computer, laddove viene a mancare anche il simulacro audiovisivo dell’immagine dell’altro, sostituito dall’immagine virtuale delle parole di un altro che non è più solo assente ma addirittura “presunto”, deprivato com’è dell’effetto di verità dell’audiovisivo (sospendendo ovviamente ogni interrogativo sui possibili effetti dell’ibridazione fra reti di computer e televisione, che avanza parallelamente alla diffusione delle connessioni a banda larga).

 

La vita sullo schermo, può essere definita come un palcoscenico “in cui si mima la vita, o la si vive davvero, o ancora la si verifica, la si sperimenta per accettarla e per diluire la brutalità e la violenza continua e materiale”.

 

Nessuno interagisce realmente con qualcun’altro, ma tutti interagiscono con lo schermo, che rinvia ad ognuno l’immagine della maschera indossata di volta in volta. Questo significa che le rappresentazioni virtuali sono più libere di mettere in essere definizioni legate al rapporto di simulazione “realtà/finzione”.

 

Meyrowitz sviluppa un altro concetto poi centrale nelle riflessioni sulla deterritorializzazione quale quello da lui definito dei cacciatori e raccoglitori dell’era informatica. trova che gli antichi popoli nomadi con il loro rapporto di scarsa fedeltà con il territorio presentano un modello di organizzazione sociale più simile a quello nostro futuro di quanto si possa essere portati ad immaginare. Sostanzia, infine, che tra tutti i tipi di società che hanno preceduto la nostra quelle dei cacciatori-raccoglitori sono state le più egualitarie nei rapporti sociali. Vi era un effettivo controllo sociale comunitario simile a quello auspicato da Habermas nelle sue definizioni del ruolo dell’opinione pubblica; vi era un tipo di apprendimento non lineare, acronologico, non gerarchizzato; e, soprattutto una gestione dell’autorità in senso persuasivo piuttosto che coercitivo. L’autore sostiene, quindi, che la società dell’informazione si basa sulla caccia e sulla raccolta non tanto del cibo quanto di informazioni, reperibili, per altro, in (sovra)abbondanza.

 

Il nomadismo dell’era informatica è, come si diceva, uno dei cardini delle elaborazioni concettuali di Lévy. L’autore sottolinea però che questa nuova forma di nomadismo non dipende tanto da una trasformazione antropologica quanto principalmente dalla trasformazione continua e rapida dei paesaggi, scientifico, tecnico, economico, mentale, ecc. è il mondo a cambiare e a spostarsi attorno a noi. Muoversi, infatti, non vuole più dire spostarsi da un punto ad un altro della superficie del pianeta ma attraversare universi di problemi, mondi vissuti, paesaggi di senso. Denunciando l’inadeguatezza delle strutture di governo nell’affrontare i problemi politici contemporanei teorizza lo sviluppo delle intelligenze collettive che avrebbero il compito di affrontare le difficoltà in modo cooperativo e parallelo dipanando il complesso informativo e producendo attraverso l’interazione informatica tecnologicamente mediata le soluzioni ai sempre più complessi problemi che le società si vedono costrette ad affrontare lungo il corso del loro progresso.

 

I media elettronici promuovono rapporti fra persone assenti, deterritorializzano le relazioni sociali e rimettono in discussione la centralità delle relazioni faccia a faccia.

 

Come si è visto, viene prospettato uno scenario in cui il gioco drammaturgico sopravvive al duplice attacco della crisi del gruppo e della virtualizzazione delle relazioni, trasformandosi in una sorta di interazione ludica fra individui-attori che sperimentano liberamente un ventaglio più o meno ampio di ruoli.

 

“L’individualismo in rete è un modello sociale, non una raccolta di individui isolati. Piuttosto, gli individui costruiscono i loro network, online e offline, sulla base dei loro interessi, affinità e progetti”. In altre parole, gli individui “atomizzati” dell’era di Internet contribuiscono alla produzione di socialità e fiducia in quanto membri di network che essi stessi creano: ad assumere la funzione del gruppo sociale sono le comunità virtuali (mailing list, newsgroup, forum online, weblog, ecc).

 

Nello spazio comunicativo di oggi si è radicalizzato sempre di più l’annullamento del rapporto tra pubblico e privato che supera il modello drammaturgico. Questo avviene attraverso il cambiamento nelle regole della messa in scena, che, nel momento in cui abolisce la distinzione fra ribalta e backstage, costringe l’individuo-attore a impegnarsi in un lavoro di recitazione permanente, in modo che coerenza e consistenza del ruolo vengano garantite al livello più elevato possibile

 

Le dinamiche di gruppo vengono sostituite con le pretese di status, come gli “indici di gradimento” che i singoli attori-individui riescono a ottenere nell’ambito di una determinata comunità virtuale.

 

Alla legittimazione di status quasi automatica garantita dai gruppi, nella relazione faccia a faccia, subentra un dispositivo agonistico fondato sulla lotta per il riconoscimento, dall’altro. In tal modo la “spontaneità” della performance è premiata rispetto alla tecnica di recitazione: così come i protagonisti “presi dal popolo” dei reality show televisivi ottengono più successo degli attori professionisti, i blogger più pronti a mettere in gioco storia ed emozioni private risultano più apprezzati e credibili di quelli che scommettono solo sul proprio patrimonio di competenze e conoscenze.

 

Nel circuito dei weblog a carattere giornalistico-informativo, il tasso di partecipazione emotiva con cui vengono presentate e commentate le notizie viene percepito, più che come “perdita di oggettività”, come valore aggiunto: il pubblico esce dall’anonimato, si fa protagonista e “dice la sua” su qualsiasi argomento.

 

La tendenza, dunque, che prevale nelle relazioni sociali mediate dal computer è quella di una radicale messa in discussione del confine fra spazio pubblico e spazio privato, fra ribalta e retroscena. Nella lotta per il riconoscimento dei pari che si svolge fra membri delle comunità virtuali non è più possibile ottenere un riconoscimento di status fondato sul ruolo sociale. Tutti sono costretti a spiegare “chi sono io” accendendo le luci non solo sulla ribalta ma anche e soprattutto sul retroscena, esponendo allo sguardo altrui i “segreti” su cui si fondano sapere (reale o presunto), carisma, carattere, virtù, dell’individuo-attore. Parlare di fine dell’anonimato urbano e di ritorno al pervasivo controllo del vicinato (elettronico) è probabilmente eccessivo, se non altro perché nel nuovo “villaggio” manca la presenza fisica del vicino.

 

  

 

ALLEGATO A

 

 

 

LA CRISI DEL LEGAME SOCIALE

 

Il principio biologico della differenza

 

            Alla base dei meccanismi psichici dell’uomo è presente la capacità di organizzarsi sulla base di stimolazioni esterne. Questa capacità di apprendere modelli di comportamento morale dipende, in larga misura, dal suo carattere generico.

 

            Per genericità bisogna intendere la differenza che l’uomo sembra avere, in quanto mancante di attrezzature organiche precise, nei confronti delle altre specie viventi.   

 

Esempio: Consideriamo la natura di un essere umano e quella di un cane, e poniamoci una domanda: prendiamo un uomo e un cane, nati e cresciuti in Italia, e li trasferiamo in Brasile, il loro adattamento all’ambiente sarà lo stesso o sarà difforme? Nel caso dell’uomo sarà difforme poiché dovrà adattarsi a nuove norme sociali, ad un nuovo linguaggio, a nuove abitudini. Nel caso del cane sarà lo stesso poiché dovrà, come in Italia, rispondere ai bisogni del proprio organismo, cioè quello di sfamarsi e difendersi per sopravvivere, mettendo in atto quelle specificità organiche, che fanno parte del suo corredo biologico.

 

            Da questo esempio si evince la differenza tra la genericità organica dell’essere umano, e la specificità organica degli altri esseri viventi. Quindi, il corredo biologico del cane è attrezzato per rispondere al principio biologico della differenza, vita-morte, mentre la genericità organica dell’essere umano, impone allo stesso la rottura del nesso di continuità col principio biologico della differenza, imponendo al suo corredo organico di sopperire all’assenza di specificità attraverso l’acquisizione delle norme sociali: non più, dunque, vita-morte ma vita-vita.

 

            Così il senso della normatività nell’uomo, non dipende da fattori interni (biologici), ma da quelli esterni (etico-sociali). Ciò allontana l’uomo dalle proprie radici biologiche, dalla vita in quanto specificità originaria.

 

        La natura dell’uomo dipende dal carattere manchevole del suo equipaggiamento organico, inadatto a vivere in un ambiente naturale, ma soprattutto secondo la logica della vita biologica. In questo modo l’uomo deve crearsi una seconda natura artificiale.

 

        La socializzazione è il processo che ha il compito di attribuire specificità all’individuo attraverso l’assunzione di un “comportamento di ruolo”. Il ruolo implica un tipo di risposta alla realtà che tende ad assumere per il soggetto un valore normativo.

            L’uomo viene informato dall’esterno, da valori che di fatto non implicano né una continuità tra gli uomini, né tra culture diverse. Contrariamente a quanto accade nella vita biologica in cui la normatività è fissata definitivamente in opposizione alla non vità, cioè alla morte, la dimensione culturale non riesce ad eliminare le differenze tra gli uomini che essa produce. I limiti a cui è soggetto l’individuo variano, infatti da cultura a cultura, per cui comportamenti considerati devianti da una cultura possono essere ritenuti normali da un’altra.

 

            Sia il sistema della personalità (attraverso l’interiorizzazione delle norme), sia il sistema sociale (attraverso il comportamento di ruolo) sono organizzati intorno agli stessi valori. Questi valori sono dunque in funzione del rapporto che si stabilisce tra l’individuo e la società, in funzione cioè della relazionalità. Mentre è ben diverso il rapporto che unisce la personalità all’organismo. Quest’ultima fornisce le risorse che poi saranno utilizzate a fini di carattere sociale.

 

 Il Sé bios: interiorizzazione della società sul piano dei meccanismi neurofisiologici

 

            L’ipotesi di una spiegazione biologica della relazionalità è possibile solo se lo stesso “biologico” viene svuotato della sua normatività intrinseca (differenza vita-non vita) e ridefinito secondo la logica relazionale propria del sistema psichico. Il biologico è annullato nelle sue caratteristiche intrinseche, nell’ambito delle funzioni psichiche. Per questo la relazionalità può assumere nell’uomo un carattere naturale.

 

            Gli elementi genetici nell’uomo assumono le caratteristiche di un sistema chiuso in se stesso, dipende dal carattere innato e sostanzialmente rigido nelle sue risposte adattive. Gli elementi biologici, in questa particolare versione, assumono un carattere non innato, che vengono ricondotti ai processi di acquisizione e interiorizzazione di un comportamento.

 

            L’individuo appena nasce è fornito del cosiddetto “encefalo plastico”, il quale, nel corso del processo di socializzazione, viene modellato proprio nell’acquisizione delle norme sociali.

            L’encefalo plastico, dunque, assume una specificità non in rapporto alle componenti innate (genetiche), ma in rapporto alla capacità dell’individuo psichico di apprendere elementi extraorganici (che non fanno parte del proprio organismo), cioè elementi socio-culturali.

            La specificità etica dell’uomo non dipende dal riconoscimento della vita in quanto tale, ma dalla capacità di apprendere norme e modelli di comportamento sociali.

 

            La biologia epigenetica o “Disposizione-a”, consente di spiegare la tendenza dell’uomo ad assumere una specificità dall’esterno o più precisamente sul piano dei processi sociali.

 

            Se la capacità acquisitiva dell’uomo può essere individuata nell’ambito della struttura plastica del cervello, la “cultura”, in quanto prodotto collettivo, ha bisogno del singolo per esistere, poiché è il prodotto della vita sociale e dell’attività collettiva dell’uomo. L’evoluzione culturale dell’uomo è legata alla plasticità dell’encefalo che si attua in quanto posta in contatto con l’ambiente esterno e, in quanto attivata, lo modifica e si automodifica.

            Possiamo dire che il senso della società domina la mente del singolo, per cui la salute della mente dipende dal vero timore che l’individuo prova nei confronti della collettività.

 

“Per quel che concerne la vita fisica, è il sistema nervoso centrale che spinge gli organi a distribuire loro la quantità di energia spettante a ciascuno. Ma a essi la vita morale sfugge. La vita mentale, soprattutto nelle sue forme superiori, trascende l’organismo. Le sensazioni gli appetiti fisici esprimono lo stato del corpo, non le idee e i sentimenti complessi. Su queste forze del tutto spirituali non c’è che un solo potere: l’autorità inerente alle norme sociali.”  

                                                                                                                           E. Durkheim

 

Il concetto di contingenza

 

            Il progresso infinito e cioè l’impossibilità di connettere la serie dei mezzi con il fine implica di fatto l’emergere del senso di contingenza, che appare come il prodotto di una separazione della realtà dalle sue immediate finalità. La realtà è contingente poiché rivela la sua estraneità dal senso e dai contenuti propri ad un ordine naturale.

 

            E’ l’avvento del capitalismo che sconvolge il significato delle finalità ultime, separando l’uomo dalla logica immanente di uno scopo implicito al mondo.

 

Il capitalismo rompe il “naturale vincolo sociale”, stabilisce una serie infinita di mezzi che allontanano l’immediata comprensione dei fini dell’uomo. Il fine si sposta progressivamente verso una infinità sempre più vuota e incomprensibile.

 

        In questa direzione, la possibilità di individuarsi da parte dell’uomo, pare ora, dipendere non tanto da una sua collocazione nella sfera pubblica, quanto dalla ricerca di una propria autonomia soggettiva, producendo una perdita del carattere individuante della vita associata.

 

            Le certezze di individuazione sociale diventano più sfumate, e, al contempo l’uomo tende a ricercare se stesso e il significato della vita, al proprio interno, nell’ambito cioè della propria dimensione psichica. Ma tale ricerca appare sempre più difficile e problematica perché l’interiorità psichica è una realtà non razionalizzabile di per sé, poiché non può essere localizzata con la stessa certezza di uno spazio pubblico.

 

            La dimensione interiore, lo psichico, appare sempre più nella forma di una individualità posta in condizione di conflittualità tra la ricerca di una propria individuazione nella sfera privata ed in quella pubblica.

            Laddove il sociale non riesce più ad attribuire un significato individuante, e cioè quando la società si presenta priva di riferimenti simbolici per l’agire del soggetto, il senso di limitazione assume un carattere concreto sotto il profilo psichico.

 

            La dimensione psichica dell’uomo, da sempre, proprio per la sua vocazione relazionale, incapace di riconoscersi nel biologico, trova adesso difficoltà ad integrarsi anche nella sfera pubblica. La conseguenza è che il rafforzarsi dell’interiorità psichica è direttamente proporzionale all’allentamento del legame sociale.

 

            Lo psichico risulta così un sistema privo di orientamenti normativi (socioculturali), e sempre più incapace di costruire la propria identità.

 

 

Società consistente e società evanescente

 

 

“Lo scopo di ogni società si fonda sulla sua capacità di rimuovere la differenza vita-non vita, fino al punto che il suo carattere normativo scompare all’interno delle differenze simboliche.”

                                                                                          G. Piazzi

 

            Le asimmetrie sociali, le differenze di status sono aspetti visibili in ogni società e possono apparire con sfumature diverse, a volte con contenuti culturali antitetici, ma ogni società ha in comune con tutte le altre quella specificità che pone la differenza nei termini della distinzione tra una vita e un’altra vita.

 

Emile Durkheim, uno dei padri della sociologia moderna, ha individuato due grandi tipi di società, basate sui principi di solidarietà. La prima, quella meccanica, riguarda la società precedente all’avvento della borghesia, la seconda, quella organica, corrisponde alla società borghese.

 

Società a solidarietà meccanica

La solidarietà meccanica rappresenta il legame sociale propriamente detto, cioè per similitudine.

La solidarietà meccanica, costitutiva delle società arcaiche, si caratterizza per la quasi totale assenza di specializzazione individuale. Qui infatti la coscienza collettiva reprime ogni tendenza all’affermazione delle singole soggettività. La personalità non esiste, non esiste un io contrapposto alla società. La vita è totalmente assimilata al carattere simbolico della partecipazione del singolo alla vita associata. 

Società a solidarietà organica

La solidarietà organica si costituisce sullo sviluppo della personalità individuale, cioè per differenze.

La solidarietà organica è il prodotto di una trasformazione nell’ambito delle relazioni tra gruppi e si caratterizza per l’emergere della personalità individuale. La società moderna ha bisogno dell’individualismo, ma ciò non significa assegnare il primato etico all’individuo, il primato resta alla società. Le finalità individuali non possono mai costituire le condizioni per la realizzazione del legame sociale. Proprio per il fatto di essere prodotto della società, l’individualismo spinge gli uomini all’autorealizzazione, ma solo nei termini funzionali alla società

 

 

Effetti della società assente: sindromi e malattie

 

Se il mondo contemporaneo è generatore strutturato di caos sociale, la proiezione di questo stato di cose non può che ritrovarsi nella salute mentale dell’individuo… Perché ogni ragionamento sulla salute del cittadino e sul disagio non può essere slegato da un’analisi sulla relazione individuo/società, in rapporto a come la struttura sociale occidentale si è evoluta. Questo perché le patologie tipiche del nostro tempo, inerenti alla salute fisica e mentale, sono in qualche modo connaturate alle leggi che regolano il legame sociale.

 

Per comprendere questo tipo di problematiche, al di là di una interpretazione quantitativa dei fenomeni, possono essere utilizzati alcuni paradigmi sociologici. L’assunto di base da cui partire può essere individuato nel motivo che porta alla costante crescita dei disagi individuali, che, a differenza di come si credeva un tempo, non sono dovuti all’invadenza della società ma alla sua assenza. Questa assenza si traduce in una sofferenza diffusa nel sorgere di malattie psicosomatiche, nell’aumento di disagi psichici, delle tossicodipendenze, delle devianze... La mente, in quanto costruzione sociale, non potendo più sostenersi sulla società per determinare la propria salute, provoca ricadute dolorose sul corpo, in quanto parte biologica. Ecco che il centro del processo di scollamento tra l’individuo e la società diventa il concetto stesso di vita, che nel mondo contemporaneo ha perso il suo significato originario.

 

Il costituirsi della “società assente” risale all’avvento della cultura borghese, che produce il fenomeno dell’ autonomizzazione dell’individuo, il quale non sviluppa più la sua identità rispetto all’appartenenza al gruppo sociale, permettendo così il formarsi di una identità stabile e quindi di una mente forte, perché forti sono le differenze, ma si afferma autonomamente, in relazione alla sua capacità di essere soggetto economico, all’interno di una società svuotata di qualità… In tale direzione è il valore di scambio a riempire gli spazi del sociale, in relazione alle necessità di tipo funzionale e quindi produttive, che l’individuo deve svolgere. Si ha in questo modo la nascita di sofferenze, per la perdita di informazioni che il corpo riceve dalla mente, producendo appunto diverse specie di patologie, come i disagi psichici, le devianze, le tossicodipendenze…

 

In questo contesto, come dicevamo, viene a perdesi il concetto di vita, paradigma centrale su cui ruotano le contraddizioni del nostro tempo. Il processo di formazione di una identità individuale stabile è direttamente proporzionale alla sua capacità di adattamento e integrazione sociale. Alla base di questo processo vi è in sostanza la capacità della vita di relazionarsi ad altra vita: distinzione vita-vita. E’ così che viene a costruirsi l’identità sociale, che per formarsi ha bisogno di stabilire delle differenze con altre individualità. Questo processo si contrappone alla formazione della individualità biologica, determinata dalla distinzione vita-morte, cioè il cosiddetto principio biologico della differenza. Nel momento in cui, come abbiamo visto, la società non è più in grado di fornire gli strumenti di determinazione dell’identità sociale, poiché le differenze sono sfumate, tutti gli individui vivono condizioni potenzialmente a rischio per la sopravvivenza bio-psichica.

 

Il disagio è il sintomo di un disadattamento per una mancata connessione con la distinzione originaria vita-morte, per cui adattamento significa coerenza dell’uomo con se stesso, in quanto identificazione con la vita. E’ significativo infatti che il conseguimento della vita diventi un valore fondante della società, non in quanto entità esterna all’uomo, ma come valore della specificità biologica dell’uomo; ciò vuol dire che lo sviluppo della mente dovrebbe procedere secondo una certa continuità col Sé biologico.

 

Ma com’è possibile riportare l’individuo a riscoprire il valore della vita in quanto esigenza biologica, in assenza di una società che non permette l’equilibrata definizione del sé sociale, poiché non esiste un imprinting normativo della società sul comportamento individuale? Attraverso la ricomposizione dell’ambiente, poiché i disturbi comportamentali nascono dall’interazione con essa. E’ il rapporto con l’esterno che determina la collocazione del sé nel corpo: la società porta a dissociare la mente dal corpo, provocando l’abbandono del proprio ambito biologico.

                        

 

 

ALLEGATO B

 

 

TEORIA DEL MEDIUM E RIFONDAZIONE

DEI CRITERI STORIOGRAFICI

 

            La storiografia tradizionale ha inteso leggere i processi di trasformazione storica delle società in relazione a codici epistemologici condivisi dalle accademie proprie alla cultura occidentale. La suddivisione dei periodi storici si è così tramandata nelle istituzioni scolastiche sulla base degli eventi geopolitici che tutti gli occidentali riconoscono come preistoria, storia antica, storia medievale, storia moderna, storia contemporanea.

 

            A cavallo tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta nasce un approccio epistemologico, che studia i mezzi di comunicazione, il quale legge la storia dell’uomo applicando modelli e criteri del tutto nuovi, e che comunque danno un quadro globale del modo in cui la comunicazione si è evoluta fino ai giorni nostri.

            Quella di cui stiamo parlando è la “Teoria del Medium”, il cui più importante artefice è Marshall McLuhan.

 

“I mezzi di comunicazione non modellano, attraverso il loro contenuto, la personalità e la cultura in modo totale, ma contribuiscono, mediante nuovi criteri di alfabetizzazione, al cambiamento sociale nel suo insieme.”

                                                                                                                      M. McLuhan

 

            McLuhan parte dal presupposto che storicamente l’emersione di un nuovo medium o sistema di comunicazione altera quello precedente, senza farlo scomparire ma ricodificandolo. Secondo lo studioso canadese, la nascita di un medium è strettamente connessa ad una riformulazione dello spazio sociale in relazione all’equilibrio sensoriale colpito. Per cui quando in una cultura si inserisce un nuovo medium esso modifica la funzione, i significati e gli effetti dei media precedenti. In tal modo egli rilegge la storia dell’uomo in tre grandi fasi, ognuna legata all’emersione di un medium: Società letterata, l’emittente dei messaggi è unicamente l’Autorità morale o politica, per cui i messaggi non possono che essere direzionali verso il popolo e quindi sacralizzati, per questo si può parlare di uomo diretto; Galassia Gutemberg, nasce il torchio a stampa, che modifica i processi di scolarizzazione e i processi di produzione, l’uomo inizia a prendere coscienza di se stesso, per cui si può parlare di uomo autodiretto; Galassia elettrica, corrisponde al novecento, poiché si ha l’invenzione dell’elettricità e quindi dei medium elettrici, radio, televisione e media interattivi trasformeranno l’uomo in eterodiretto, nel senso che esistono più autorità potenziali a dirigere l’uomo...

Questa nuova lettura della storia viene descritta in termini cosmici poiché, appunto, la nascita di un medium, come ad esempio il torchio a stampa, condiziona l’intero pianeta. Il nuovo medium costringe le società strutturate ed evolute a servirsene, ristrutturando le rispettive organizzazioni sociali. Se a questo rapportiamo la lettura tradizionale della storia ci accorgiamo che, ad esempio, il crollo dell’impero romano segna l’avvio del medioevo solo per quelle culture che furono protagoniste di quel trapasso storico, in Cina o in Giappone il concetto di medioevo non è riconoscibile, mentre è riconoscibile la rivoluzione che in questi paesi compie l’invenzione di un mezzo di comunicazione come il torchio a stampa.

 

La Società letterata

 

“Le popolazioni non letterate passano la loro esistenza quasi del tutto in un mondo dei suoni, mentre i popoli dell’occidente europeo vivono in buona misura in un mondo visivo. I suoni sono in un certo senso oggetti dinamici, essi indicano sempre una realtà dinamica: movimenti, eventi, attività nei confronti dei quali l’uomo, allorché si trova sottoposto ai pericoli della vita, deve sempre rimanere all’erta. Mentre per gli europei in genere vedere vuol dire credere…”

 

            Come osserva McLuhan la società orale o illetterata è una società tribale, dove viene a svilupparsi una cultura dell’orecchio, fatta di simultaneità e di circolarità. La società orale è dunque una società chiusa, dove le popolazioni hanno esperienze mitiche, che vanno in profondità, in cui tutti i sensi vivono in armonia.

            Con la nascita dell’alfabeto fonetico iniziò il processo di detribalizzazione umana, poiché il passaggio alla traduzione dei suoni in un codice visivo ha introdotto l’uomo in un mondo di significati totalmente trasformati.

 

           Coloro che per primi sperimentano l’affermarsi di una nuova tecnologia, sia essa l’alfabeto o la radio, rispondono calorosamente poiché i nuovi rapporti tra i sensi che all’improvviso si instaurano per la dilatazione tecnologica dell’occhio e dell’orecchio, pongono davanti a loro un mondo nuovo e sorprendente che fa intravedere un nuovo e vigoroso rinserrarsi, ovvero un nuovo modello di intreccio tra tutti i sensi insieme. Ma lo shok iniziale gradatamente svanisce, mentre l’intera comunità assorbe le nuove abitudini percettive in tutti i suoi settori di lavoro e di scambio. La vera rivoluzione ha luogo in questa seconda fase di adattamento di tutta la vita individuale e sociale al nuovo modello di percezione creato dalla nuova tecnologia”.

 

            La rottura della fiducia totale nella comunicazione orale permette agli individui di diventare più introspettivi, razionali e individualistici, sviluppando così il pensiero astratto.

 

 La Galassia Gutemberg

 

            Con la nascita del torchio a stampa per opera di Gutemberg, questo processo detribalizzante viene accentuato, determinando molte caratteristiche di razionalità occidentale e del comportamento civilizzato.

            L’invenzione della tipografia, come sottolinea McLuhan, è un esempio dell’applicazione della conoscenza di arti tradizionali a un particolare problema visivo, essa segna il confine tra la tecnologia medievale e quella moderna.

            Il concetto di immaginazione, proprio alle arti rinascimentali, verrà praticamente riadattato alle possibilità di visualizzazione delle stesse. In tal senso la meccanizzazione dell’arte fu probabilmente la prima riduzione in termini meccanici del movimento, in una serie di fotogrammi statici.

 

“La tipografia è per molti versi assimilabile al cinema… Il lettore muove la serie di lettere stampate davanti a se a una velocità compatibile con la comprensione dei movimenti nella mente dell’autore”

 

            Ma la stampa fu anche il primo esempio di produzione di massa, oltre che la prima merce uniforme e ripetibile. La catena di montaggio dei caratteri mobili rese possibile un manufatto che aveva le caratteristiche di ripetibilità e di uniformità proprie di un esperimento scientifico.

L’avvento del torchio a stampa corrisponde all’avvento del pensiero lineare…

  

“Ciascuna parola stampata rappresenta una serie di istruzioni per la realizzazione di uno specifico ordine lineare di movimenti che una volta eseguiti risultano in una successione di suoni”.

 

            La riduzione di tutta l’esperienza ad un solo senso, la vista, come risultato della tipografia sarà rivoluzionata nel ventesimo secolo con la nascita della società elettrica e l’avvento del pensiero circolare.

 

La Galassia elettrica

 

            “Dopo tremila anni di espansione in ogni settore e di crescente alienazione specializzata nelle innumerevoli estensioni del corpo umano e delle sue funzioni, il nostro mondo, con drammatico rovesciamento di prospetti, si è ora improvvisamente contratto. L’elettricità ha ridotto il globo a poco più che un villaggio e, riunendo con repentina implosione tutte le funzioni sociali e politiche, ha intensificato in misura straordinaria la consapevolezza delle responsabilità umane. E’ questa componente che modifica la posizione dei negri, degli adolescenti e via dicendo. Non è più possibile contenere politicamente questi gruppi sociali entro limiti determinati; essi sono ora, grazie ai media elettronici, coinvolti nella nostra vita, come noi nella loro”.

 

            McLuhan ci dice quattro cose fondamentali. La prima è che i media elettronici hanno la funzione di prolungare i sensi del sistema fisiologico:

 

            “Oggi, dopo un secolo d’impiego tecnologico dell’elettricità, abbiamo esteso il nostro sistema nervoso centrale in un abbraccio globale, che almeno per quanto concerne il nostro pianeta, abolisce tanto il tempo quanto lo spazio. Ci stiamo rapidamente avvicinando alla fase finale dell’estensione dell’uomo: quella cioè, in cui, attraverso la simulazione tecnologica, il processo creativo di conoscenza verrà collettivamente esteso all’intera società umana, proprio come, tramite i vari media, abbiamo esteso i nostri nervi…”

 

            L’altra grande intuizione è che il “medium è il messaggio”. E’ ricorrente in tal senso l’esempio della luce elettrica, poiché essa è un medium senza messaggio, quindi senza contenuto. Nel momento in cui la luce elettrica viene usata per una operazione chirurgica o per una partita di calcio, queste attività diventano contenuto della luce elettrica senza del quale non potrebbero esistere.

            Poi, McLuhan fa una divisione tipologica tra diversi medium, suddividendoli in “mezzi caldi” e “mezzi freddi”. Sono caldi quei mezzi a bassa definizione di immagini come la radio, mentre sono freddi quelli ad alta definizione visiva come la televisione.

Infine lo studioso canadese, alla fine degli anni sessanta, conia il concetto di “villaggio globale”, osservando che l’elettricità ha in qualche modo ricreato le dinamiche sociali del villaggio antico, dove la circolazione delle informazioni era pressoché immediata, tutti sapevano tutto non appena succedeva, abolendo lo steccato che separava il pubblico dal privato. La televisione ha annullato i confini spazio-temporali riducendo il pianeta alla stessa stregua di un villaggio, poiché un qualsiasi fatto pubblico o privato, anche se accade dall’altra parte del mondo è possibile saperlo immediatamente…

  

 

 

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