Questo laboratorio è stato realizzato all'interno della Cattedra di Sociologia delle Comunicazioni di Massa dell'Università di Catania, nell'anno accademico 1995/96.

 

1991: LA GUERRA COME UN SERIAL

 

 

1.Il nuovo Big Event seriale 

 

Le tappe di evoluzione e consolidamento del Villaggio globale, mettono in luce come il sistema delle comunicazioni di massa esprima le tensioni sociali del proprio tempo, in una epoca in cui è il protagonismo della massa sociale a fare da termometro ai processi cambiamento. Se infatti in Vietnam la guerra fu persa prima che sui campi di battaglia nelle case degli americani, la guerra del Golfo offre un nuovo palcoscenico sociale, all'interno del quale gli errori del passato vengono scremati, mentre lo sviluppo tecnologico dei media incalza il sistema politico.

 

 Vent'anni dopo il Vietnam, come abbiamo visto, cadono i muri e le frontiere del villaggio globale mutano improvvisamente. Il nemico adesso non è più il comunismo ma l'oltranzismo islamico. E' sempre un'area regionale, lontana dal modo occidentale  a diventare scenario del conflitto bellico, all'interno del quale si giocano i nuovi equilibri internazionali. A combattere non è più la sola America ma quasi tutti gli eserciti della Società Planetaria Liberale, riuniti sotto la bandiera dell'ONU, il quale diventa il referente formale delle dinamiche del conflitto, poiché esso nasce proprio in seguito ad una sua risoluzione. Agli Stati Uniti, naturalmente, tocca il compito  di gestire l'operazione, sia dal punto di vista strategico e organizzativo che politico.

 

 Nel Golfo, rispetto al Vietnam, cambia anche lo scenario nel rapporto tra Potere e organi d'informazione. Crolla l'antitesi dei ruoli, o per meglio dire, i media sono tecnicamente impossibilitati ad esprimere tale antagonismo, per i vincoli posti all'accesso delle informazioni. Per evitare i “guai del Vietnam”, dove i giornalisti avevano assoluta libertà di movimento, vengono imposte tutta una serie di limitazioni, finalizzate ad impedire ingerenze mediatiche nelle dinamiche del conflitto. Il giornalista non è più il protagonista  della “storia” alla Cronkite, ma semplice “commesso del supermarket informativo”. Le notizie come le immagini sono controllate dall'apparato militare, che adesso è anche preparato a svolgere funzioni di pubbliche relazioni e comunicazione attraverso i “Briefing”, cioè delle conferenze stampa tenute dagli alti ufficiali del comando alleato, per aggiornare periodicamente sulla situazione bellica. L'unico modo che i giornalisti hanno di mettere piede dentro la battaglia vera e propria sono i “Pool”, squadre formate da reporter accreditati ad accedere in punti prestabiliti e sempre accompagnati.

 

La trama informativa viene allora costruita attorno all'azione della CNN. Vediamo come...

 

 Fin dall'agosto del '90, il network aveva mobilitato una struttura organizzativa imponente, seguendo l'evento fin dal suo antefatto, rispondendo perfettamente alla nuova e fondamentale regola del “Supermarket dell'informazione”: non aspettare che l'evento accada ma precederlo. Inoltre, la possibilità di utilizzare un satellite privato, consegna alla rete di Atlanta uno strumento essenziale per disegnare il circuito dei flussi informativi, velocizzando i tempi di produzione della notizia rispetto alle fonti ufficiali. In quel preciso momento uno degli elementi costitutivi della comunicazione giornalistica verrà messo in discussione: le agenzie di stampa. La CNN si sostituirà ad esse, trasformandosi in “agenzia televisiva planetaria”.

 

 Il ruolo dell'anchorman, ormai desueto nel nuovo contesto, viene sostituito dall'inviato speciale, ed è Peter Arnett a ricoprirlo. Vincitore del Premio Pultzer, per le sue cronache dal Vietnam, Arnett è l'unico giornalista occidentale a rimanere a Bagdad per tutto il periodo del conflitto. L'unico a poter registrare il vissuto quotidiano della “Città del male”, l'unico al quale Saddam Hussein concede di restare e perfino intervistarlo. Ed è questo, forse, il solo momento analogico col Vietnam, poiché questo evento innescherà un conflitto di ruoli tra l'establishment americano e il network di Atlanta. Si disse, infatti, che così facendo si dava la possibilità al dittatore di usufruire di una eccezionale cassa di risonanza, e che i servizi del giornalista facevano trasparire solo gli aspetti convenienti al governo irakeno, dato che che erano sottoposti a censura. Ci fu, addirittura, chi accusò Arnett di “collaborazionismo” , accusa stigmatizzata da parte della stampa occidentale, soprattutto legata a si sistemi di Political Logic. A tal proposito c'è da fare una proiezione temporale, poiché alcuni anni dopo nasce nell'area mediorientale una versione della CNN in lingua islamica: Al Jazera. Essa accompagnerà le missioni di guerra dell'occidente, dall'Afganistan all'abbattimento del regime di Saddam, diventando emittente della comunicazione, dobbiamo dire sempre giocata con molta professionalità, delle informazioni riguardanti Al Kaida. Naturalmente, dopo i fatti dell'undici settembre, l'accusa di collaborazionismo verso Al Jazera era quasi fisiologica... Il caso Arnett, comunque, nella prima guerra del Golfo,  rappresenta in qualche modo “lo scontro tra poteri”, che fa parte della tradizione giornalistica americana, forse unica variabile non prevista dall'apparato politico americano, che nulla ha potuto fare per impedire che le esigenze produttive del network, venissero compromesse dalla ragion di stato.

 

 Se le dinamiche inerenti il rapporto tra media e potere politico si trasformano, di conseguenza subisce una trasformazione anche la funzione dell'opinione pubbica. Essa non è più parte in causa, come nel Vietnam, poiché non ci sono massacri che coinvolgono i soldati occidentali, e quand'anche vi fossero i flussi informativi verrebbero “velinati” dall'apparato militare. Le notizie sono impacchettate , le immagini preparate dallo staff di esperti di comunicazione della Casa Bianca, e mostrano una guerra definita “intelligente”, una guerra computerizzata , una guerra tecnologica, dove non si vedono cadaveri o scene cruente. Una guerra coinvolgente dal punto di vista spettacolare, ma distaccata dal punto di vista umano. Le informazioni erano fittizie e comunque lo squilibrio tra forze in campo rende la fine scontata; l'unica incognita è sul quanto potrà durare.

 

 La Guerra nel Golfo è fondamentalmente accettata e voluta dai popoli della Società Planetaria Liberale, che hanno paura del fanatismo islamico, nuova minaccia mondiale che comincia ad affacciarsi, dopo la recentissima morte del socialismo reale. L'opinione pubblica, in questo caso è quindi “Audience”: condanna il nemico e si diverte a guardare...

 

2. Arrivano i nostri! 

 

La costruzione mediatica del serial fa emergere, in termini netti la contrapposizione, tra quelle che diventano vere e proprie figure simboliche: i buoni e i cattivi. All'inizio fu così anche per il Vietnam, gradualmente si scoprì, grazie ai mezzi di comunicazione che i buoni si erano resi responsabili di crudeltà tali che la linea divisoria tra ruoli contrapposti divenne linea d'ombra...

Nel Golfo, i buoni rimangono invece tali. In parte, a questa domanda abbiamo già risposto, è per questa ragione che occorre un approfondimento dal punto di vista dell'analisi delle tecniche che hanno portato a questo.

 

La “teoria complottista” sottolinea come vi sia stata una interazione tra establishment americano e media nel falsificare le informazioni e le immagini, costruendo una visione della realtà distorta. “La simbiosi tra stampa, tv e establishment fu totale. Il New York Times arrivò a scrivere che assorbendo il Kuwait l'Iraq avrebbe controllato due terzi del delle riserve di petrolio conosciute del Pianeta – il dato reale è invece il venti per cento”. (Fracassi). Naturalmente la teoria complottista parte da presupposti di tipo giornalistici, per cui vengono semplificati meccanicamente le definizioni dei fatti. L'osmosi tra mezzi di comunicazione e potere politico negli Stati Uniti, come abbiamo visto nei percorsi precedenti, ha avuto alterne vicende. Grandi eventi storici hanno ridefinito tale rapporto anche grazie ai mass media. Nel caso della guerra del Golfo questo rapporto deve essere  letto in termini di “cinghia di trasmissione” tra fonti istituzionali e media, questo al di là, naturalmente delle, più o meno dichiarate, idee politiche o la voglia di carrierismo di qualche notista di medi o grandi mezzi d'informazione statunitensi.

 

L'Amministrazione Bush è figlia “primogenità” del reaganismo e da questa ha acquisito le metodologie di controllo delle informazioni. “Voi non diteci come presentare le notizie, noi non vi diremo come trattarle”... Questo slogan sintetizza efficacemente il nuovo rapporto tra l'amministrazione americana e i media, dall'inizio degli anni ottanta, dopo il periodo del sensazionalismo a tutti i costi, anzi è possibile pensare che il nuovo sistema di gestione delle, informazioni di Reagan sia nato proprio per impedire il dilagare del sensazionalismo... C'è anche da dire che da Lyndon Johnson in poi, tutti i presidenti sono stati, in qualche modo viitime dei media... Reagan riesce a mischiare le carte, imbrigliando la capacità dei media di ingerenza negli “affari dell'amministrazione”.

 

3. La cinghia di trasmissione  sulla circolazione delle notizie

 

L'obiettivo è quello di bloccare la cinghia di trasmissione delle informazioni. Se prima i giornalisti avevano la possibilità di accedere alle fonti istituzionali, secondo le proprie capacità professionali, adesso sono costretti a muoversi all'interno di un percorso tracciato dalle istituzioni stesse. Questo impedisce ai mezzi di comunicazione, soprattutto alla tv, di decidere il tema del giorno, non solo ma in questo modo si danno dei tempi istituzionali al flusso delle informazioni. “Per la prima volta dopo vent'anni, il Presidente pone la massima attenzione nel decidere come, quando e dove incontrare i giornalisti. Per la prima volta si difende, resta chiuso nel suo bozzolo per uscirne di rado, e sotto patti precisi... Reagan è un professionista dell'immagine e dell'immaginario, e sa che realtà è solo quello che passa attraverso l'obiettivo”.   

 

Con Reagan i flussi d'informazione vengono burocratizzati. Ai dati sull'attività dell'Amministrazione è possibile accedere compilando appositi moduli. Il “White House News Service”, il bollettino della Casa Bianca, viene inviato tramite abbonamento a tutte le strutture informative del paese, esautorando i cronisti accreditati, e propongono una gerarchia di notizie  strutturata soprattutto per gli organi d'informazione su scala distrettuale. La funzione del “Briefing”, poi, veniva radicalmente stravolta, poiché i temi del giorno erano quelli indicati dalla Casa Bianca e non dai giornalisti, pr cui veniavano disertati puntualmente.

Ma al sistema di controllo esterno, venne affiancato uno interno, finalizzato ad impedire che dalla Casa Bianca uscisse qualche “Gola profonda”. Venne introdotto il “Polygraph”, la macchina della verità, per quei funzionari che avevano accesso alle informazioni segrete...

 

4. La logica CNN e la ridefinizione dei criteri di notiziabilità

 

Il ruolo svolto dalla CNN, non soltanto all'interno del conflitto belico in questione, ma in generale nella Società Planetaria Liberale dell'Informazione, sottolinea con forza i caratteri del nuovo modello informativo, poiché si trasforma in argine per il sistema reaganiano di gestione delle informazioni. Scriveva Peter Arnett del suo editore Ted Turner: “l'improbabile stemma dell'ONU era il simbolo della filosofia di Turner, della sua decisione di fare della CNN una forza positiva in un mondo in cui predominano i cinici, un'organizzazione che si spera possa riunire nella fratellanza, gentilezza e pace i popoli di questa nazione del mondo”. Retorica a parte, gli effetti di questa filosofia diventano a tutti chiari nel momento in cui la CNN rimane a Bagdad per tutto il conflitto.

 

L'elemento davvero rivoluzionario che ha portato la CNN  durante la guerra del Golfo è stato quello di sovvertire uno dei più importanti criteri sostantivi della notiziabilità:  “il livello gerarchico dei soggetti coinvolti nell'evento”; criterio che individua nel suo più importante valore/notizia il grado di potere istituzionale dei soggetti coinvolti, per cui le fonti prioritarie sono appunto fonti ufficiali. Di fronte alla cinghia di trasmissione istituzionale bloccata dall'establischment americano, la fonte gerarchica è stata esautorata, diventando la CNN stessa fonte istituzionale, perché in loco e perché in onda 24 ore su 24, per gli altri organi d'informazione.

 

Grazie alla è stato possibile documentare la strage del bunker con i corpi straziati di donne, vecchi e bambini, uniche immagini di morte sul campo che sono riuscite a circolare. Per un momento i buoni sono tornati ad essere cattivi, ma poi tutto è rientrato poiché i flussi informativi sono tornate in mano al Comando militare. Se, allora, la CNN diventa nel Golfo la fonte primaria per i mezzi di comunicazione di tutto il mondo, le stesse istituzioni americane se ne servirono per avere notizie che altrimenti non potevano avere.

 

5. Rai/Fininvest: due modelli a confronto

 

In Italia come è stata raccontata la guerra nel Golfo? O per meglio dire, quali sono state le dinamiche che hanno prodotto il racconto del serial all'italiana. Prima di tracciare gli aspetti fondamentali, occorre uno sforzo di memoria per contestualizzare l'evento. Era il 1991, L'ultimo anno della prima repubblica, poi scoppierà tangentopoli. Al potere vi erano ancora Craxi, Andreotti, Forlani e gli altri... Berlusconi era un solo un grande imprenditore che era riuscito ad imporre un polo televisivo concorrente alla Rai. La solita crisi economica e sociale attanagliava il paese, come era stato negli anni passati e come lo sarà negli anni futuri. Davvero un'altra epoca...

 

La Guerra nel Golfo segna dunque il primo grande conflitto mediatico all'interno dell'oligopolio, conflitto che solo dieci anni dopo si trasformerà in pax. Infatti il conflitto sarà prima di tutto tra modelli informativi: il modello istituzionale della Rai ed il modello commerciale della Fininvest. Nel primo il presupposto su cui si basa la produzione delle informazioni attiene al rapporto preferenziale tra il media, in quanto servizio pubblico, e le istituzioni. E' questo un approccio basato sul principio della notizia come frutto di conferme istituzionali, cioè siamo di fronte al principale criterio di notiziabilità sostantivo, quello gerarchico, sovvertito dalla CNN.

 

Il modello commerciale invece ripercorre una sorta di “itinerario investigativo” che porta a scoprire il “colpevole”... Si sottopone cioè all'attenzione dell'audience l'intero percorso della notizia, utilizzando non soltanto le fonti canoniche, ma anche fonti alternative, per cui la conferma costituisce semplicemente la fase finale del percorso comunicativo, ecco perché “Studio Aperto” primo telegiornale Fininvest, utilizzerà per primo la CNN come fonte, arrivando sempre per primo alla notizia.

 

Nel caso della guerra nel Golfo, la contrapposizione tra modelli si viene a manifestare in Italia con una “guerra nella guerra”, facendo emergere un fenomeno particolare nel sistema della comunicazione. Da un lato vi è la difficoltà della Rai di anticipare gli eventi sulle notizie non confermate, che poi è l'humus su cui si sviluppa l'evento seriale in diretta. Cosa strana se si pensa al più che trentennale sviluppo delle sinergie tecnologiche e professionali dell'azienda. Di contro c'era il primo notiziario “commerciale”, sfornito di esperienza redazionale e organizzativa, ma che arrivava quasi sempre per primo alla notizia, poiché segue in modo scientifico il percorso della notizia, dal “si dice” alla conferma, al punto da anticipare costantemente il servizio pubblico.

 

6. Il racconto

 

Il conflitto bellico è da sempre l'ambientazione cinematografica da sempre più sfruttata, poiché ha in sé gli elementi narrativi più entusiasmanti per chi osserva:

·         coraggio

·         suspence

·         forza

·         eroismo

·         passione

·         sacrificio

·         vittoria del bene

·         sconfitta del male

 

 

La guerra è sicuramente bella da vedere per un osservatore passivo...

 

Non vi è quindi occasione migliore per riprodurre attraverso le metodologie del racconto della fiction: ecco come la guerra si trasforma in un serial in presa diretta. Questo perché il linguaggio della fiction  è universalmente acquisito, funzionando da modello esplicativo della realtà. Cosa mai accaduta è che la televisione manda in onda un evento seriale informativo di tipo bellico in diretta in tutto il mondo; ricordiamo che la guerra del Vietnam fu coperta solo negli Stati Uniti, in Europa gli organi di informazione non erano ancora pronti per una diretta mondiale.

 

C'è da dire che la fiction non ha mai potuto produrre un serial di tipo bellico, poiché è questo un prodotto tipicamente cinematografico, di difficile trasposizione televisiva poiché poco rassicurante, quindi non assolve alla funzione tipicamente fisiologica del mezzo.

 

Il transfert su cui l'evento viene costruito l'evento “Guerra nel Golfo” è appunto la CNN, poiché i suoi ritmi espressivi si sposano appieno la dimensione dell'evento. Mentre dal punto di vista dell'architettura narrativa possiamo dire che è una commistione tra soap opera e serial poliziesco, che sono poi gli eventi seriali televisivi più caratterizzanti del medium elettronico, e che meglio caratterizzano, dal punto di vista connotativo la propria audience.

 

Ma quali sono i paradigmi produttivi, di questi generi televisivi, che convergono sulle dinamiche del racconto?

Propria alla soap è la “assenza di azione”, gli avvenimenti che intercorrono sono raccontati attraverso conversazioni (Cantor). Come abbiamo già detto, nella Guerra nel Golfo mancano le immagini dai campi di battaglia, per cui il circuito delle notizie è colmo di buchi neri a causa del vaglio censorio dell'Alto Comando Alleato. Questo determina la necessità di spostare l'asse del racconto dalla guerra sul campo alla mediazione internazionale: non eventi mostrati ma raccontati...

 

Altro elemento di congiunzione produttiva con la soap è “l'esaurimento della storia”. Nel caso delle soap opera l'esaurimento della storia sfocia in genere in altre storie, e le trame che rimangono insolute, in genere, assorbono residui di conflitti semirisolti (Cantor).

 

Per ciò che concerne la Guerra nel Golfo, in special modo nella prima fase, le storie si esauriscono proporzionalmente alla fisiologia della notiziabilità, cioè l'insieme di elementi attraverso i quali l'apparato informativo controlla e gestisce la quantità e il tipo di eventi da cui selezionare le notizie (Wolf).  Nel momento in cui questi elementi fanno da sintesi ai due generi tradizionali del palinsesto, cioè la fiction e l'informazione, è chiara la motivazione che porta all'effetto narrante della finzione.

 

Restando nel campo della Soap, possiamo estrapolare dal racconto della Guerra una storia centrale, che fa da percorso alla vicenda, e che definiremo “macrotrama”, e delle storie collaterali, che si esauriscono, e che chiameremo microtrame. La prima è incentrata sulle ingarbugliate trattative diplomatiche che attraversano tutto il periodo del conflitto. Le seconde riguardano gli eventi direttamente collegati ai movimenti bellici. La macrotrama è praticamente seguita in diretta, poiché risponde principalmente all'esigenza di verificare minuto dopo minuto se la guerra finirà in seguito alla resa dell'Irak, prodotta dalle trattative internazionali. Le microtrame, invece, si sviluppano in pochi giorni, costruite per lo più su flashback, dove le medesime immagini vengono presentate ripetutamente.

 

A tal punto, però è necessario individuare il terzo elemento dell'interazione tra fiction e realtà, quello proprio al serial poliziesco, che risponde all'esigenza ritmico-espressiava di informare e lasciare col fiato sospeso...  Alla base di questa dimensione vi è l' incognita, cioè la ricerca della verità preposta sull'esattezza o meno delle notizie riguardanti sia la macro e le micotrame. Su questo campo si tesse la competizione tra i diversi mezzi d'informazione.

 

Il serial cerca dunque di svelare i misteri della guerra, e questo attraverso il rincorrere le notizie in tempo reale, dove le conferme o le smentite costituiscono il punto finale di un tracciato percorso interamente.

 

7. Il Serial

 

Dal punto di vista narratologico, gli eventi della guerra possono essere racchiusi in tredici puntate. Nelle prime cinque l'attenzione si sofferma su storie ad esaurimento inerenti ai fatti bellici. Tra la sesta e l'undicesima i riflettori si posano sulle intersecazioni politico-diplomatiche, spostando il baricentro dell'equilibrio informativo. Infine, le ultime due puntate si collocano secondo funzioni narrative differenziate. La dodicesima è la risolutrice del “Big Event” televisivo, cioè la riconquista di Kuwait City, in linea on la tradizione filmografica dell' “arrivano i nostri”. Con l'ultima puntata si ritorna al serial poliziesco, poiché ci si interroga sulla scomparsa del dittatore. Ma non solo. Nel momento in cui il Rais non viene catturato dalle forze americane, ciò presuppone un suo rientro, come poi è stato, al posto di comando, per cui la storia continua, come ogni fine mancata delle soap opera...

 

 

LE PUNTATE

TIPOLOGIA DELLE TRAME

1. HANNO ATTACCATO!

Microtrama

2. PANICO A TEL AVIV

Microtrama

3. I PRIGIONIERI

Microtrama

4. LA BATTAGLIA DI KHAFJI

Microtrama

5. LA STRAGE

Microtrama

6. UN CRUDELE INGANNO

Macrotrama

7. A MOSCA! A MOSCA!

Macrotrama

8. L'ULTIMATUM

Macrotrama

9. GIALLO DIPLOMATICO

Macrotrama

10. LUCE VERDE

Macrotrama

11. PANICO A PALAZZO DI VESTRO

Macrotrama

12. LA CITTA E' SALVA

Microtrama

13. CHE FINE HA FATO SADDAM?

Microtrama

 

 

Hanno attaccato!

 

La prima puntata del serial può essere considerata un vero e proprio “Pilot”. Il “Pilot” è la puntata pilota di ogni serial, che viene sottoposta al giudizio di un pubblico scelto, una sorta di Focus Group, prima di essere prodotta in serie, e che possiede tutti gli elementi contenutistici del prodotto da realizzare. Nel nostro caso è probabilmente la puntata più esaltante, una di quelle che più si avvicina alla finzione...

 

Quella notte le coordinate della comunicazione giornalistica venivano stravolte. Le fonti tradizionali per ogni apparato informativo, cioè le agenzie e le istituzioni, venivano da due reti televisive americane: inizialmente la ABC e poi la CNN. La maggior parte dei dispacci trasmessi dalle agenzie avevano come fonte proprio i due networks. Mentre la notizia ufficiale dello scoppio della guerra, che sarebbe dovuta partire dalla Casa Bianca o dal Pentagono, ritardava a venire, i reporters della CNN avevano già fatto sentire i rumori della guerra dal loro telefono, collegato al satellite.

 

Ecco come descriveva quella sera Bob Woodword in un passo del libro “The Commanders”: “Alla Casa Bianca, Bush, Quayle, Scowcroft e Sununu si riunirono nel piccolo ufficio attiguo allo studio ovale per guardare la televisione. Quando, dietro le voci dei giornalisti che erano ancora nelle loro stanze d'albergo a Bagdad, si sentì il frastuono dei bombardamenti, Bush, visibilmente sollevato disse: proprio come nei piani”.

 

La notizia dello scoppio della guerra la dava Gary Shappard della ABC, mentre i tre cronisti della CNN, Peter Arnett, John Holliman e Bernard Shaw perdevano il collegamento. Dopo un paio di minuti usciva la prima agenzia. La France Press annunciava una “intensa attività aerea su Riad”, così dal Pentagono fonti non ufficiali confermavano la notizia. Shappard nel frattempo descriveva i fuochi della contraerea. Usciva un'Ansa e poco dopo una Reuters citando la CNN. John Holliman lasciava aperto il telefono: si sentivano ancora i rumori delle bombe.

 

A questo punto, il baricentro dell'attenzione informativa viene spostato, poiché non hanno più tanta importanza le notizie sulla guerra, quello che interessa all'apparato informativo è la conferma da parte delle istituzioni americane  che la guerra è iniziata. Un effetto questo piuttosto paradossale, ma che sottolinea la velocità sulla quale si sviluppa la notiziabilità dell'evento.

 

I mezzi di informazione cercano una conferma ufficiale alla Casa Bianca, e visto che non arriva l'attenzione si sposta verso il Pentagono, che parla di “Strane attività aeree su Bagdad”. Una Reuter sottolinea che la capitale irakena sta per essere oscurata. Poi si alternano una serie di dispacci che ripetono informazioni già uscite precedentemente. Bernard Show, dai microfoni CNN a Bagdad, parla di enormi luci gialle, mentre arriva la notizia  che il comando americano avrebbe annunciato ufficialmente l'inizio della guerra. La CNN smentisce le voci che sarebbe stata attaccata Israele.

 

A quasi un'ora dallo scoppio della guerra , vissuta ma non vista, in diretta in tutto il mondo, il portavoce  della Casa Bianca Marlin Fitzwater da l'annuncio ufficiale: “Gli aerei americani hanno attaccato”, la guerra è scoppiata ufficialmente.

 

Flashbach sull'inizio

 

“Hanno attaccato! Hanno attaccato!” Annunciava all'Italia Silvia Kramar, corrispondente dagli Stati Uniti del quotidiano il “Giornale”, a quel tempo diretto da Indro Montanelli. La reporter, in collegamento con “Studio Aperto” di Emilio Fede, che proprio quel giorno innaugurava la diretta del primo telegiornale Fininvest, seguiva semplicemente da un ufficio di corrispondenza di New York i notiziari dei network americani. La Kramar si lanciò in un appassionante dialogo con Fede, annunciando in presa diretta lo scoppio della guerra, seguendo di pari passo il caos informativo che nella prima ora si sviluppò.

 

Nel frattempo i Tg Rai non erano ancora collegati. Su Rai 2, mentre il mondo cominciava a tenere il fiato sospeso, veniva trasmesso il film della notte, e solo dopo la sua fine il Tg2 si collegava, dando la notizia “non confermata”. Tutto questo avveniva quando Emilio Fede aveva già fatto sentire i rumori delle bombe dal telefono di Silvia Kramar, che l'aveva appositamente poggiato vicino l'audio del televisore sulla frequenza CNN.

 

Lo spettacolo inventato

 

Nella seconda puntata abbiamo l'esempio più eclatante della maniera in cui la CNN, non potendo seguire la guerra in diretta, nel senso proprio del termine, cioè con le immagini dentro il campo di battaglia, poiché la cinghia di trasmissione è bloccata , trova il modo di surrogare lo scenario bellico. In breve, si tratta di uno spettacolo inventato, che riprende un principio antico dell'informazione televisiva americana: “Lo spettacolo siamo noi!...” Cioè a dire: non è tanto l'evento a fare notizia, ma il fatto stesso che la televisione lo riprenda. E' questo il postulato di McLuhan sul Medium che è il messaggio.

 

E' il secondo giorno di conflitto, la microtrama si incentra sulla sindrome del gas nervino. Sono ore di tensione poiché vi è la convinzione che Saddam possa usare le armi chimiche contro Israele. La maschera antigas, da questo momento, diventerà uno dei simboli feticcio della guerra.

 

Da Bagdad l'attenzione si sposta su Gerusalemme  e Tel Aviv. Vi è un via vai di notizie circa una quantità indefinita di Scud, cioè le bombe irakene, lanciate su alcune aree del territorio  israeliano. La CNN è in collegamento permanente col suo ufficio di corrispondenza a Gerusalemme, e telefonicamente con l'inviato di Tel Aviv, dove si teme maggiormente che si possano verificare gli effetti nefasti del bombardamento chimico. Da Tel Aviv mancano le riprese in diretta, per cui l'ufficio di corrispondenza di Gerusalemme si trasforma nel palcoscenico ideale della rappresentazione della tragedia annunciata.

 

Qui vengono recitate, nel senso proprio del termine, le situazioni create dalla possibilità che possano esplodere  le bombe chimiche. Tutti nello studio, sono costretti dalle autorità, almeno così si dice, ad indossare le maschere antigas. Ma ecco l'imprevisto... Vediamo come lo racconta il giornalista Claudio Fracassi: “Drammatica la scena, terribile il pericolo, d'obligo la maschera. Ma allora perchè quella persona lì in un angolo, inquadrata casualmente per pochi secondi, si sposta tranquillamente senza maschera antigas?” Non vi era insomma nessun pericolo, ma qualcosa di spettacolare bisognava pur mostrare, per cui è la televisione lo spettacolo e non l'evento.

 

In Italia Studio Aperto, che già dal secondo giorno di conflitto, diventa il notiziario guida della guerra, si inventa una fonte anonima, mettendosi in collegamento con una famiglia di Tel Aviv, presa dall'elenco telefonico della città...

 

I Prigionieri

 

La terza puntata ci offre la possibilità di soffermarci sul rapporto tra logica del medium e logica istituzionale, spaccato del sistema informativo italiano. Ancora una volta al centro dell'attenzione è Emilio Fede, che si contrappone al Tg2, il quale lo accusa di speculazione giornalistica per aver dato una notizia non confermata, che si rivelerà poi essere esatta.

 

La microtrama riguarda i prigionieri dell'Alleanza occidentale catturati e mostrati in televisione da Saddam, unico momento il cui il Rais si serve del video per ingaggiare una guerra dei messaggi, in seguito utilizzerà la radio. In questo caso abbiamo una microtrama legata allo specifico italiano, che ha come protagonisti i due ufficiali dell'aviazione Bellini e Cocciolone.

 

La mattina del 20 gennaio la redazione di Studio Aperto mette le mani su un documento ignorato da tutte le altre redazioni nazionali. Si tratta di una confusa conferenza stampa del ministro dell'informazione  irakeno Yassem, il quale annuncia che alcuni prigionieri alleati saranno fatti sfilare in Tv. Tra questi il ministro sottolineava che vi erano anche degli italiani. Il Tg2 smentisce la notizia in maniera categorica, e forse anche un po' grossolana. La smentita ruota attorno alla comprensibilità delle parole del ministro irakeno, nella traduzione dall'arabo all'inglese... Ecco come il notiziario del Tg2 la mattina stessa esordisce: “Nella frase c'era la parola The Time, cioè il tempo, che è stata fraintesa, questo ce l'ha spiegato un nostro collaboratore che conosce l'arabo, con italians, cioè italiani”.

 

Nel tardo pomeriggio, l'agenzia Italia e l'Associated Press da Nicosia, che diventerà uno dei principali punti di smistamento delle notizie, inviano dei dispacci in cui riferiscono che secondo la televisione iraniana soldati di nazionalità italiana sarebbero stati mostrati dalle antenne irakene.

 

A tal punto il Tg1 inizia ad interessarsi al fatto dando la notizia nelledizione del pomeriggio, immersa, però, dentro una grande quantità di condizionali. Come se non bastasse Studio Aperto trova un'altra fonte, un radioamatore che asserisce di aver sentito la voce di Cocciolone, uno dei prigionieri presunti, captando la trasmissione via radio. Sarà Peter Arnett dalla CNN a suffragare ogni dubbio: la notizia è confermata.

 

Analisi della comunicazione aberrata

 

Il sistema circuitale delle comunicazioni di massa, come abbiamo visto, caratterizza la società planetaria liberale, riunendola in un unico villaggio globale. Durante la Guerra del Golfo, l'Irak rimase isolato dai flussi informativi, per cui dopo l'esposizione televisiva dei prigionieri le antenne vennero bombardate e l'apparato statale irakeno utilizzò la radio come mezzo di propaganda militante. Ritornarono a galla, dopo cinquant'anni, le stesse metodologie comunicative utilizzate da Hitler e Mussolini.

 

Il Rais ha continuamente giocato con i messaggi, creando molto spesso caos sia informativo che diplomatico. Se messi in relazione al sistema informativo occidentale i messaggi sibillini radiofonici di Saddam possono essere considerati “messaggi aberrati”.

 

Con la fase della comunicazione aberrata entriamo nel vivo della macrotrama. Data l'impossibilità da parte della televisione di seguire la guerra nei campi di battaglia  l'attenzione si concentra principalmente sulle mediazioni internazionali.

 

E' la sesta puntata e Radio Bagdad, captata a Nicosia dalle strutture informative della Società Planetaria Liberale, annuncia che l'Irak è pronta al ritiro dal Kuwait. E' il Consiglio del Comando della Rivoluzione a firmare il comunicato, in realtà è Saddam Hussein che si nasconde dietro questo apparato... Come poi spiegherà Peter Arnett, molto spesso il Rais parlava dietro quest'organo. Il testo della traduzione dall'arabo, lascia molti spazi di ambiguità, tanto che sia la Casa Bianca che l'Opinione pubblica hanno difficoltà di decodifica.

 

La volontà espressa dal fantomatico Consiglio sembra quella di adottare la risoluzione 660 delle Nazioni Unite, quella in cui si chiede il ritiro incondizionato dal Kuwait. Successivamente però viene chiesto l'immediato ritiro delle forze alleate dal Golfo, il ritiro di Israele dai territori occupati e infine il ritiro delle truppe siriane dal Libano.

 

Per le strade di Bagdad, intanto, la CNN riprende scene di gioia collettiva. Il comando militare distanza in Arabia saudita riceve la notizia dal network americano... Al Pentagono vi è ottimismo. Il mondo arabo che fiancheggia gli alleati è fiducioso. Ma la fiducia e l'ottimismo passeranno presto, dopo che lo staff di Bush riconosce quella di Saddam come un'abile mossa propagandistica.

 

Nella settima e ottava puntata Saddam continua a tessere le trappole informative. Cerca la mediazione con l'Unione Sovietica ma al tempo stesso incita il suo popolo attraverso i discorsi radiofonici. Attraverso una rapida analisi semiotica di uno di questi testi, scopriamo che sono presenti termini ripetuti in modo ossessionante, come ad esempio Rifiuto e Ritiro aperti dalla parola Aggressione e chiuse dalla parola Battaglia. Il dittatore ripete lo stesso concetto più volte, basandosi su un modulo narrativo fisso:

 

“Hanno rifiutato di trattare con noi e adesso vogliono il nostro ritiro. Ci hanno aggrediti, ma noi combatteremo...!”

 

Un concetto questo che tende a far presa sull'orgoglio nazionale. Due sono i punti di maggiore interesse attorno al modulo narrativo fisso, supportate da strutture linguistiche tese alla mistificazione. Da un lato viene colpito il sentimento religioso:

 

“Privare l'Irak di tutte le sue caratteristiche, della sua fede...”

“Vogliono sacrificare il nostro popolo”

 

Poi Saddam accusa l'occidente di fare il gioco che lui stesso fa:

 

“Guardate cosa fa Bush, dice una cosa e ne fa un'altra”

 

Il giorno seguente a questo comunicato, il portatvoce di Gorbaciov, ultimo Presidente dell'Unione Sovietica, annuncia l'accordo con Tarek Aziz, ministro degli Esteri irakeno, mente strategica dell'operazione mediatico-diplomatica.

 

Giallo diplomatico

 

Nella nona puntata ci troviamo di fronte un ultimatum dell'Alto comando americano al governo irakeno, e a poche ore dalla scadenza quest'ultimo crea un tilt informativo allo scopo di far slittare l'ultimatum.

 Sullo sfondo i piani di pace che si accavallavano tra loro. In primo piano una seduta delle nazioni Unite, nella quale l'ambasciatore irakeno annunciava che il suo governo “Ha risposto positivamente alla dichiarazione americana”...  Questo fu il messaggio uscito fuori dal palazzo di vetro. Un messaggio ambiguo, poiché non si capisce a quale dichiarazione americana l'ambasciatore voglia riferirsi. Tra le conferme e le smentite che si susseguono a ritmo incalzante, la tela della comunicazione aberrata si ingrandisce, tanto da trasformare la notizia in oggetto di valutazione assolutamente differenziate sia per ciò che riguardava l'amministrazione americana che i media. C'è chi pensa, addirittura, ad un colpo di stato in Irak, tanto che l'ambasciatore americano all'ONU Pickering chiede al collega irakeno a nome di quale governo stesse parlando. Dalla CNN invece il corrispondente dal Dipartimento di Stato fa l'ipotesi che l'Irak avrebbe accettato la dichiarazione americana solo se a chiederlo fosse l'ONU.

 La comunicazione sull'esercito

 L'undicesima puntata è il punto massimo di espressione della comunicazione aberrata. Questa volta anziché essere di una scelta propagandistica pianificata, si tratta di assolvere ad una funzione di tipo spiccatamente militare...

 Il grande attacco è stato mosso, mentre la diplomazia si prodiga a fermare la fase finale del conflitto. Da Nicosia viene inviata una notizia, rimbalzata tramite l'Associated Press in tutto il mondo. Sembra che da radio Bagdad sia stato lanciato un messaggio secondo il quale saddam avrebbe ordinato alle forze di ritirarsi. All'ONU nessuno ne sa niente, tanto meno l'ambasciatore irakeno. Notizia certa è che i servizi di intelligence  dell'esercito americano hanno confermato “intensi movimenti di truppe dal Kuwait all'Irak...” Ecco che viene nuovamente a saturarsi il circuito informativo.

 Il mistero verrà svelato poche ore dopo. Il comunicato era stato effettivamente lanciato da radio Bagdad, ma non in quanto annuncio alla popolazione, bensì diretto alle forze armate. Un comunicato teso a dare indicazioni agli ufficiali dell'esercito irakeno: indietreggiare le forze di terra disponendole per la difesa.

La radio costituisce l'unico strumento di comunicazione tra il comando militare e il fronte della guerra , e dato che la necessità militare è quella di non disperdere le truppe, probabilmente Saddam ha pensato bene di evitare l'errore di Hitler in Russia, quando l'assenza di informazioni sul fronte di guerra fu uno dei motivi della disfatta nazista.

 

Questo laboratorio è stato realizzato all'interno della Cattedra di Sociologia delle Comunicazioni di Massa dell'Università di Catania, nell'anno accademico 1995/96.

 

1991: LA GUERRA COME UN SERIAL

 

1. Il nuovo Big Event seriale

 

Le tappe di evoluzione e consolidamento del Villaggio globale, mettono in luce come il sistema delle comunicazioni di massa esprima le tensioni sociali del proprio tempo, in una epoca in cui è il protagonismo della massa sociale a fare da termometro ai processi cambiamento. Se infatti in Vietnam la guerra fu persa prima che sui campi di battaglia nelle case degli americani, la guerra del Golfo offre un nuovo palcoscenico sociale, all'interno del quale gli errori del passato vengono scremati, mentre lo sviluppo tecnologico dei media incalza il sistema politico.

 

Vent'anni dopo il Vietnam, come abbiamo visto, cadono i muri e le frontiere del villaggio globale mutano improvvisamente. Il nemico adesso non è più il comunismo ma l'oltranzismo islamico. E' sempre un'area regionale, lontana dal modo occidentale  a diventare scenario del conflitto bellico, all'interno del quale si giocano i nuovi equilibri internazionali. A combattere non è più la sola America ma quasi tutti gli eserciti della Società Planetaria Liberale, riuniti sotto la bandiera dell'ONU, il quale diventa il referente formale delle dinamiche del conflitto, poiché esso nasce proprio in seguito ad una sua risoluzione. Agli Stati Uniti, naturalmente, tocca il compito  di gestire l'operazione, sia dal punto di vista strategico e organizzativo che politico.

 

Nel Golfo, rispetto al Vietnam, cambia anche lo scenario nel rapporto tra Potere e organi d'informazione. Crolla l'antitesi dei ruoli, o per meglio dire, i media sono tecnicamente impossibilitati ad esprimere tale antagonismo, per i vincoli posti all'accesso delle informazioni. Per evitare i “guai del Vietnam”, dove i giornalisti avevano assoluta libertà di movimento, vengono imposte tutta una serie di limitazioni, finalizzate ad impedire ingerenze mediatiche nelle dinamiche del conflitto. Il giornalista non è più il protagonista  della “storia” alla Cronkite, ma semplice “commesso del supermarket informativo”. Le notizie come le immagini sono controllate dall'apparato militare, che adesso è anche preparato a svolgere funzioni di pubbliche relazioni e comunicazione attraverso i “Briefing”, cioè delle conferenze stampa tenute dagli alti ufficiali del comando alleato, per aggiornare periodicamente sulla situazione bellica. L'unico modo che i giornalisti hanno di mettere piede dentro la battaglia vera e propria sono i “Pool”, squadre formate da reporter accreditati ad accedere in punti prestabiliti e sempre accompagnati.

 

La trama informativa viene allora costruita attorno all'azione della CNN. Vediamo come...

 

Fin dall'agosto del '90, il network aveva mobilitato una struttura organizzativa imponente, seguendo l'evento fin dal suo antefatto, rispondendo perfettamente alla nuova e fondamentale regola del “Supermarket dell'informazione”: non aspettare che l'evento accada ma precederlo. Inoltre, la possibilità di utilizzare un satellite privato, consegna alla rete di Atlanta uno strumento essenziale per disegnare il circuito dei flussi informativi, velocizzando i tempi di produzione della notizia rispetto alle fonti ufficiali. In quel preciso momento uno degli elementi costitutivi della comunicazione giornalistica verrà messo in discussione: le agenzie di stampa. La CNN si sostituirà ad esse, trasformandosi in “agenzia televisiva planetaria”.

 

Il ruolo dell'anchorman, ormai desueto nel nuovo contesto, viene sostituito dall'inviato speciale, ed è Peter Arnett a ricoprirlo. Vincitore del Premio Pultzer, per le sue cronache dal Vietnam, Arnett è l'unico giornalista occidentale a rimanere a Bagdad per tutto il periodo del conflitto. L'unico a poter registrare il vissuto quotidiano della “Città del male”, l'unico al quale Saddam Hussein concede di restare e perfino intervistarlo. Ed è questo, forse, il solo momento analogico col Vietnam, poiché questo evento innescherà un conflitto di ruoli tra l'establishment americano e il network di Atlanta. Si disse, infatti, che così facendo si dava la possibilità al dittatore di usufruire di una eccezionale cassa di risonanza, e che i servizi del giornalista facevano trasparire solo gli aspetti convenienti al governo irakeno, dato che che erano sottoposti a censura. Ci fu, addirittura, chi accusò Arnett di “collaborazionismo” , accusa stigmatizzata da parte della stampa occidentale, soprattutto legata a si sistemi di Political Logic. A tal proposito c'è da fare una proiezione temporale, poiché alcuni anni dopo nasce nell'area mediorientale una versione della CNN in lingua islamica: Al Jazera. Essa accompagnerà le missioni di guerra dell'occidente, dall'Afganistan all'abbattimento del regime di Saddam, diventando emittente della comunicazione, dobbiamo dire sempre giocata con molta professionalità, delle informazioni riguardanti Al Kaida. Naturalmente, dopo i fatti dell'undici settembre, l'accusa di collaborazionismo verso Al Jazera era quasi fisiologica... Il caso Arnett, comunque, nella prima guerra del Golfo,  rappresenta in qualche modo “lo scontro tra poteri”, che fa parte della tradizione giornalistica americana, forse unica variabile non prevista dall'apparato politico americano, che nulla ha potuto fare per impedire che le esigenze produttive del network, venissero compromesse dalla ragion di stato.

 

Se le dinamiche inerenti il rapporto tra media e potere politico si trasformano, di conseguenza subisce una trasformazione anche la funzione dell'opinione pubbica. Essa non è più parte in causa, come nel Vietnam, poiché non ci sono massacri che coinvolgono i soldati occidentali, e quand'anche vi fossero i flussi informativi verrebbero “velinati” dall'apparato militare. Le notizie sono impacchettate , le immagini preparate dallo staff di esperti di comunicazione della Casa Bianca, e mostrano una guerra definita “intelligente”, una guerra computerizzata , una guerra tecnologica, dove non si vedono cadaveri o scene cruente. Una guerra coinvolgente dal punto di vista spettacolare, ma distaccata dal punto di vista umano. Le informazioni erano fittizie e comunque lo squilibrio tra forze in campo rende la fine scontata; l'unica incognita è sul quanto potrà durare.

 

La Guerra nel Golfo è fondamentalmente accettata e voluta dai popoli della Società Planetaria Liberale, che hanno paura del fanatismo islamico, nuova minaccia mondiale che comincia ad affacciarsi, dopo la recentissima morte del socialismo reale. L'opinione pubblica, in questo caso è quindi “Audience”: condanna il nemico e si diverte a guardare...

 

2. Arrivano i nostri!

 

La costruzione mediatica del serial fa emergere, in termini netti la contrapposizione, tra quelle che diventano vere e proprie figure simboliche: i buoni e i cattivi. All'inizio fu così anche per il Vietnam, gradualmente si scoprì, grazie ai mezzi di comunicazione che i buoni si erano resi responsabili di crudeltà tali che la linea divisoria tra ruoli contrapposti divenne linea d'ombra...

 

Nel Golfo, i buoni rimangono invece tali. In parte, a questa domanda abbiamo già risposto, è per questa ragione che occorre un approfondimento dal punto di vista dell'analisi delle tecniche che hanno portato a questo.

 

La “teoria complottista” sottolinea come vi sia stata una interazione tra establishment americano e media nel falsificare le informazioni e le immagini, costruendo una visione della realtà distorta. “La simbiosi tra stampa, tv e establishment fu totale. Il New York Times arrivò a scrivere che assorbendo il Kuwait l'Iraq avrebbe controllato due terzi del delle riserve di petrolio conosciute del Pianeta – il dato reale è invece il venti per cento”. (Fracassi). Naturalmente la teoria complottista parte da presupposti di tipo giornalistici, per cui vengono semplificati meccanicamente le definizioni dei fatti. L'osmosi tra mezzi di comunicazione e potere politico negli Stati Uniti, come abbiamo visto nei percorsi precedenti, ha avuto alterne vicende. Grandi eventi storici hanno ridefinito tale rapporto anche grazie ai mass media. Nel caso della guerra del Golfo questo rapporto deve essere  letto in termini di “cinghia di trasmissione” tra fonti istituzionali e media, questo al di là, naturalmente delle, più o meno dichiarate, idee politiche o la voglia di carrierismo di qualche notista di medi o grandi mezzi d'informazione statunitensi.

 

L'Amministrazione Bush è figlia “primogenità” del reaganismo e da questa ha acquisito le metodologie di controllo delle informazioni. “Voi non diteci come presentare le notizie, noi non vi diremo come trattarle”... Questo slogan sintetizza efficacemente il nuovo rapporto tra l'amministrazione americana e i media, dall'inizio degli anni ottanta, dopo il periodo del sensazionalismo a tutti i costi, anzi è possibile pensare che il nuovo sistema di gestione delle, informazioni di Reagan sia nato proprio per impedire il dilagare del sensazionalismo... C'è anche da dire che da Lyndon Johnson in poi, tutti i presidenti sono stati, in qualche modo viitime dei media... Reagan riesce a mischiare le carte, imbrigliando la capacità dei media di ingerenza negli “affari dell'amministrazione”.

 

3. La cinghia di trasmissione  sulla circolazione delle notizie

 

L'obiettivo è quello di bloccare la cinghia di trasmissione delle informazioni. Se prima i giornalisti avevano la possibilità di accedere alle fonti istituzionali, secondo le proprie capacità professionali, adesso sono costretti a muoversi all'interno di un percorso tracciato dalle istituzioni stesse. Questo impedisce ai mezzi di comunicazione, soprattutto alla tv, di decidere il tema del giorno, non solo ma in questo modo si danno dei tempi istituzionali al flusso delle informazioni. “Per la prima volta dopo vent'anni, il Presidente pone la massima attenzione nel decidere come, quando e dove incontrare i giornalisti. Per la prima volta si difende, resta chiuso nel suo bozzolo per uscirne di rado, e sotto patti precisi... Reagan è un professionista dell'immagine e dell'immaginario, e sa che realtà è solo quello che passa attraverso l'obiettivo”.   ?

 

Con Reagan i flussi d'informazione vengono burocratizzati. Ai dati sull'attività dell'Amministrazione è possibile accedere compilando appositi moduli. Il “White House News Service”, il bollettino della Casa Bianca, viene inviato tramite abbonamento a tutte le strutture informative del paese, esautorando i cronisti accreditati, e propongono una gerarchia di notizie  strutturata soprattutto per gli organi d'informazione su scala distrettuale. La funzione del “Briefing”, poi, veniva radicalmente stravolta, poiché i temi del giorno erano quelli indicati dalla Casa Bianca e non dai giornalisti, pr cui veniavano disertati puntualmente.

 

Ma al sistema di controllo esterno, venne affiancato uno interno, finalizzato ad impedire che dalla Casa Bianca uscisse qualche “Gola profonda”. Venne introdotto il “Polygraph”, la macchina della verità, per quei funzionari che avevano accesso alle informazioni segrete...

 

4. La logica CNN e la ridefinizione dei criteri di notiziabilità

 

Il ruolo svolto dalla CNN, non soltanto all'interno del conflitto belico in questione, ma in generale nella Società Planetaria Liberale dell'Informazione, sottolinea con forza i caratteri del nuovo modello informativo, poiché si trasforma in argine per il sistema reaganiano di gestione delle informazioni. Scriveva Peter Arnett del suo editore Ted Turner: “l'improbabile stemma dell'ONU era il simbolo della filosofia di Turner, della sua decisione di fare della CNN una forza positiva in un mondo in cui predominano i cinici, un'organizzazione che si spera possa riunire nella fratellanza, gentilezza e pace i popoli di questa nazione del mondo”. Retorica a parte, gli effetti di questa filosofia diventano a tutti chiari nel momento in cui la CNN rimane a Bagdad per tutto il conflitto.

 

L'elemento davvero rivoluzionario che ha portato la CNN  durante la guerra del Golfo è stato quello di sovvertire uno dei più importanti criteri sostantivi della notiziabilità:  “il livello gerarchico dei soggetti coinvolti nell'evento”; criterio che individua nel suo più importante valore/notizia il grado di potere istituzionale dei soggetti coinvolti, per cui le fonti prioritarie sono appunto fonti ufficiali. Di fronte alla cinghia di trasmissione istituzionale bloccata dall'establischment americano, la fonte gerarchica è stata esautorata, diventando la CNN stessa fonte istituzionale, perchè in loco e perchè in onda 24 ore su 24, per gli altri organi d'informazione.

 

Grazie alla è stato possibile documentare la strage del bunker con i corpi straziati di donne, vecchi e bambini, uniche immagini di morte sul campo che sono riuscite a circolare. Per un momento i buoni sono tornati ad essere cattivi, ma poi tutto è rientrato poiché i flussi informativi sono tornate in mano al Comando militare. Se, allora, la CNN diventa nel Golfo la fonte primaria per i mezzi di comunicazione di tutto il mondo, le stesse istituzioni americane se ne servirono per avere notizie che altrimenti non potevano avere.

 

5. Rai/Fininvest: due modelli a confronto

 

In Italia come è stata raccontata la guerra nel Golfo? O per meglio dire, quali sono state le dinamiche che hanno prodotto il racconto del serial all'italiana. Prima di tracciare gli aspetti fondamentali, occorre uno sforzo di memoria per contestualizzare l'evento. Era il 1991, L'ultimo anno della prima repubblica, poi scoppierà tangentopoli. Al potere vi erano ancora Craxi, Andreotti, Forlani e gli altri... Berlusconi era un solo un grande imprenditore che era riuscito ad imporre un polo televisivo concorrente alla Rai. La solita crisi economica e sociale attanagliava il paese, come era stato negli anni passati e come lo sarà negli anni futuri. Davvero un'altra epoca...

 

La Guerra nel Golfo segna dunque il primo grande conflitto mediatico all'interno dell'oligopolio, conflitto che solo dieci anni dopo si trasformerà in pax. Infatti il conflitto sarà prima di tutto tra modelli informativi: il modello istituzionale della Rai ed il modello commerciale della Fininvest. Nel primo il presupposto su cui si basa la produzione delle informazioni attiene al rapporto preferenziale tra il media, in quanto servizio pubblico, e le istituzioni. E' questo un approccio basato sul principio della notizia come frutto di conferme istituzionali, cioè siamo di fronte al principale criterio di notiziabilità sostantivo, quello gerarchico, sovvertito dalla CNN.

 

Il modello commerciale invece ripercorre una sorta di “itinerario investigativo” che porta a scoprire il “colpevole”... Si sottopone cioè all'attenzione dell'audience l'intero percorso della notizia, utilizzando non soltanto le fonti canoniche, ma anche fonti alternative, per cui la conferma costituisce semplicemente la fase finale del percorso comunicativo, ecco perchè “Studio Aperto” primo telegiornale fininvest, utilizzerà per primo la CNN come fonte, arrivando sempre per primo alla notizia.

 

Nel caso della guerra nel Golfo, la contrapposizione tra modelli si viene a manifestare in Italia con una “guerra nella guerra”, facendo emergere un fenomeno particolare nel sistema della comunicazione. Da un lato vi è la difficoltà della Rai di anticipare gli eventi sulle notizie non confermate, che poi è l'humus su cui si sviluppa l'evento seriale in diretta. Cosa strana se si pensa al più che trentennale sviluppo delle sinergie tecnologiche e professionali dell'azienda. Di contro c'era il primo notiziario “commerciale”, sfornito di esperienza redazionale e organizzativa, ma che arrivava quasi sempre per primo alla notizia, poiché segue in modo scientifico il percorso della notizia, dal “si dice” alla conferma, al punto da anticipare costantemente il servizio pubblico.

 

6. Il racconto

 

Il conflitto bellico è da sempre l'ambientazione cinematografica da sempre più sfruttata, poiché ha in sé gli elementi narrativi più entusiasmanti per chi osserva:

  • coraggio
  • suspence
  • forza
  • eroismo
  • passione
  • sacrificio
  • vittoria del bene
  • sconfitta del male

La guerra è sicuramente bella da vedere per un osservatore passivo...

 

Non vi è quindi occasione migliore per riprodurre attraverso le metodologie del racconto della fiction: ecco come la guerra si trasforma in un serial in presa diretta. Questo perchè il linguaggio della fiction  è universalmente acquisito, funzionando da modello esplicativo della realtà. Cosa mai accaduta è che la televisione manda in onda un evento seriale informativo di tipo bellico in diretta in tutto il mondo; ricordiamo che la guerra del Vietnam fu coperta solo negli Stati Uniti, in Europa gli organi di informazione non erano ancora pronti per una diretta mondiale.

 

C'è da dire che la fiction non ha mai potuto produrre un serial di tipo bellico, poiché è questo un prodotto tipicamente cinematografico, di difficile trasposizione televisiva poiché poco rassicurante, quindi non assolve alla funzione tipicamente fisiologica del mezzo.

 

Il transfert su cui l'evento viene costruito l'evento “Guerra nel Golfo” è appunto la CNN, poiché i suoi ritmi espressivi si sposano appieno la dimensione dell'evento. Mentre dal punto di vista dell'architettura narrativa possiamo dire che è una commistione tra soap opera e serial poliziesco, che sono poi gli eventi seriali televisivi più caratterizzanti del medium elettronico, e che meglio caratterizzano, dal punto di vista connotativo la propria audience.

 

Ma quali sono i paradigmi produttivi, di questi generi televisivi, che convergono sulle dinamche del racconto?

Propria alla soap è la “assenza di azione”, gli avvenimenti che intercorrono sono raccontati attraverso conversazioni (Cantor). Come abbiamo già detto, nella Guerra nel Golfo mancano le immagini dai campi di battaglia, per cui il circuito delle notizie è colmo di buchi neri a causa del vaglio censorio dell'Alto Comando Alleato. Questo determina la necessità di spostare l'asse del racconto dalla guerra sul campo alla mediazione internazionale: non eventi mostrati ma raccontati...

 

Altro elemento di congiunzione produttiva con la soap è “l'esaurimento della storia”. Nel caso delle soap opera l'esaurimento della storia sfocia in genere in altre storie, e le trame che rimangono insolute, in genere, assorbono residui di conflitti semirisolti (Cantor).

 

Per ciò che concerne la Guerra nel Golfo, in special modo nella prima fase, le storie si esauriscono proporzionalmente alla fisiologia della notiziabilità, cioè l'insieme di elementi attraverso i quali l'apparato informativo controlla e gestisce la quantità e il tipo di eventi da cui selezionare le notizie (Wolf).  Nel momento in cui questi elementi fanno da sintesi ai due generi tradizionali del palinsesto, cioè la fiction e l'informazione, è chiara la motivazione che porta all'effetto narrante della finzione.

 

Restando nel campo della Soap, possiamo estrapolare dal racconto della Guerra una storia centrale, che fa da percorso alla vicenda, e che definiremo “macrotrama”, e delle storie collaterali, che si esauriscono, e che chiameremo microtrame. La prima è incentrata sulle ingarbugliate trattative diplomatiche che attraversano tutto il periodo del conflitto. Le seconde riguardano gli eventi direttamente collegati ai movimenti bellici. La macrotrama è praticamente seguita in diretta, poiché risponde principalmente all'esigenza di verificare minuto dopo minuto se la guerra finirà in seguito alla resa dell'Irak, prodotta dalle trattative internazionali. Le microtrame, invece, si sviluppano in pochi giorni, costruite per lo più su flashback, dove le medesime immagini vengono presentate ripetutamente.

 

A tal punto, però è necessario individuare il terzo elemento dell'interazione tra fiction e realtà, quello proprio al serial poliziesco, che risponde all'esigenza ritmico-espressiava di informare e lasciare col fiato sospeso...  Alla base di questa dimensione vi è l' incognita, cioè la ricerca della verità preposta sull'esattezza o meno delle notizie riguardanti sia la macro e le micotrame. Su questo campo si tesse la competizione tra i diversi mezzi d'informazione.

 

Il serial cerca dunque di svelare i misteri della guerra, e questo attraverso il rincorrere le notizie in tempo reale, dove le conferme o le smentite costituiscono il punto finale di un tracciato percorso interamente.

 

7. Il Serial

 

Dal punto di vista narratologico, gli eventi della guerra possono essere racchiusi in tredici puntate. Nelle prime cinque l'attenzione si sofferma su storie ad esaurimento inerenti ai fatti bellici. Tra la sesta e l'undicesima i riflettori si posano sulle intersecazioni politico-diplomatiche, spostando il baricentro dell'equilibrio informativo. Infine, le ultime due puntate si collocano secondo funzioni narrative differenziate. La dodicesima è la risolutrice del “Big Event” televisivo, cioè la riconquista di Kuwait City, in linea on la tradizione filmografica dell' “arrivano i nostri”. Con l'ultima puntata si ritorna al serial poliziesco, poiché ci si interroga sulla scomparsa del dittatore. Ma non solo. Nel momento in cui il Rais non viene catturato dalle forze americane, ciò presuppone un suo rientro, come poi è stato, al posto di comando, per cui la storia continua, come ogni fine mancata delle soap opera...

 

 

LE PUNTATE

TIPOLOGIA DELLE TRAME

1. HANNO ATTACCATO!

Microtrama

2. PANICO A TEL AVIV

Microtrama

3. I PRIGIONIERI

Microtrama

4. LA BATTAGLIA DI KHAFJI

Microtrama

5. LA STRAGE

Microtrama

6. UN CRUDELE INGANNO

Macrotrama

7. A MOSCA! A MOSCA!

Macrotrama

8. L'ULTIMATUM

Macrotrama

9. GIALLO DIPLOMATICO

Macrotrama

10. LUCE VERDE

Macrotrama

11. PANICO A PALAZZO DI VESTRO

Macrotrama

12. LA CITTA E' SALVA

Microtrama

13. CHE FINE HA FATO SADDAM?

Microtrama

 

 

Hanno attaccato!

 

La prima puntata del serial può essere considerata un vero e proprio “Pilot”. Il “Pilot” è la puntata pilota di ogni serial, che viene sottoposta al giudizio di un pubblico scelto, una sorta di Focus Group, prima di essere prodotta in serie, e che possiede tutti gli elementi contenutistici del prodotto da realizzare. Nel nostro caso è probabilmente la puntata più esaltante, una di quelle che più si avvicina alla finzione...

 

Quella notte le coordinate della comunicazione giornalistica venivano stravolte. Le fonti tradizionali per ogni apparato informativo, cioè le agenzie e le istituzioni, venivano da due reti televisive americane: inizialmente la ABC e poi la CNN. La maggior parte dei dispacci trasmessi dalle agenzie avevano come fonte proprio i due networks. Mentre la notizia ufficiale dello scoppio della guerra, che sarebbe dovuta partire dalla Casa Bianca o dal Pentagono, ritardava a venire, i reporters della CNN avevano già fatto sentire i rumori della guerra dal loro telefono, collegato al satellite.

 

Ecco come descriveva quella sera Bob Woodword in un passo del libro “The Commanders”: “Alla Casa Bianca, Bush, Quayle, Scowcroft e Sununu si riunirono nel piccolo ufficio attiguo allo studio ovale per guardare la televisione. Quando, dietro le voci dei giornalisti che erano ancora nelle loro stanze d'albergo a Bagdad, si sentì il frastuono dei bombardamenti, Bush, visibilmente sollevato disse: proprio come nei piani”.

 

La notizia dello scoppio della guerra la dava Gary Shappard della ABC, mentre i tre cronisti della CNN, Peter Arnett, John Holliman e Bernard Shaw perdevano il collegamento. Dopo un paio di minuti usciva la prima agenzia. La France Press annunciava una “intensa attività aerea su Riad”, così dal Pentagono fonti non ufficiali confermavano la notizia. Shappard nel frattempo descriveva i fuochi della contraerea. Usciva un'Ansa e poco dopo una Reuter citando la CNN. John Holliman lasciava aperto il telefono: si sentivano ancora i rumori delle bombe.

 

A questo punto, il baricentro dell'attenzione informativa viene spostato, poiché non hanno più tanta importanza le notizie sulla guerra, quello che interessa all'apparato informativo è la conferma da parte delle istituzioni americane  che la guerra è iniziata. Un effetto questo piuttosto paradossale, ma che sottolinea la velocità sulla quale si sviluppa la notiziabilità dell'evento.

 

I mezzi di informazione cercano una conferma ufficiale alla Casa Bianca, e visto che non arriva l'attenzione si sposta verso il Pentagono, che parla di “Strane attività aeree su Bagdad”. Una Reuter sottolinea che la capitale irakena sta per essere oscurata. Poi si alternano una serie di dispacci che ripetono informazioni già uscite precedentemente. Bernard Show, dai microfoni CNN a Bagdad, parla di enormi luci gialle, mentre arriva la notizia  che il comando americano avrebbe annunciato ufficialmente l'inizio della guerra. La CNN smentisce le voci che sarebbe stata attaccata Israele.

 

A quasi un'ora dallo scoppio della guerra , vissuta ma non vista, in diretta in tutto il mondo, il portavoce  della Casa Bianca Marlin Fitzwater da l'annuncio ufficiale: “Gli aerei americani hanno attaccato”, la guerra è scoppiata ufficialmente.

 

Flashbach sull'inizio

 

“Hanno attaccato! Hanno attaccato!” Annunciava all'Italia Silvia Kramar, corrispondente dagli Stati Uniti del quotidiano il “Giornale”, a quel tempo diretto da Indro Montanelli. La reporter, in collegamento con “Studio Aperto” di Emilio Fede, che proprio quel giorno innaugurava la diretta del primo telegiornale Fininvest, seguiva semplicemente da un ufficio di corrispondenza di New York i notiziaqri dei network americani. La Kramar si lanciò in un appassionante dialogo con Fede, annunciando in presa diretta lo scoppio della guerra, seguendo di pari passo il caos informativo che nella prima ora si sviluppò.

 

Nel frattempo i Tg Rai non erano ancora collegati. Su Rai 2, mentre il mondo cominciava a tenere il fiato sospeso, veniva trasmesso il film della notte, e solo dopo la sua fine il Tg2 si collegava, dando la notizia “non confermata”. Tutto questo avveniva quando Emilio Fede aveva già fatto sentire i rumori delle bombe dal telefono di Silvia Kramar, che l'aveva appositamente poggiato vicino l'audio del televisore sulla frequenza CNN.

 

Lo spettacolo inventato

 

Nella seconda puntata abbiamo l'esempio più eclatante della maniera in cui la CNN, non potendo seguire la guerra in diretta, nel senso proprio del termine, cioè con le immagini dentro il campo di battaglia, poiché la cinghia di trasmissione è bloccata , trova il modo di surrogare lo scenario bellico. In breve, si tratta di uno spettacolo inventato, che riprende un principio antico dell'informazione televisiva americana: “Lo spettacolo siamo noi!...” Cioè a dire: non è tanto l'evento a fare notizia, ma il fatto stesso che la televisione lo riprenda. E' questo il postulato di McLuhan sul Medium che è il messaggio.

 

E' il secondo giorno di conflitto, la microtrama si incentra sulla sindrome del gas nervino. Sono ore di tensione poiché vi è la convinzione che Saddam possa usare le armi chimiche contro Israele. La maschera antigas, da questo momento, diventerà uno dei simboli feticcio della guerra.

 

Da Bagdad l'attenzione si sposta su Gerusalemme  e Tel Aviv. Vi è un via vai di notizie circa una quantità indefinita di Scud, cioè le bombe irakene, lanciate su alcune aree del territorio  israeliano. La CNN è in collegamento permanente col suo ufficio di corrispondenza a Gerusalemme, e telefonicamente con l'inviato di Tel Aviv, dove si teme maggiormente che si possano verificare gli effetti nefasti del bombardamento chimico. Da Tel Aviv mancano le riprese in diretta, per cui l'ufficio di corrispondenza di Gerusalemme si trasforma nel palcoscenico ideale della rappresentazione della tragedia annunciata.

 

Qui vengono recitate, nel senso proprio del termine, le situazioni create dalla possibilità che possano esplodere  le bombe chimiche. Tutti nello studio, sono costretti dalle autorità, almeno così si dice, ad indossare le maschere antigas. Ma ecco l'imprevisto... Vediamo come lo racconta il giornalista Claudio Fracassi: “Drammatica la scena, terribile il pericolo, d'obligo la maschera. Ma allora perchè quella persona lì in un angolo, inquadrata casualmente per pochi secondi, si sposta tranquillamente senza maschera antigas?” Non vi era insomma nessun pericolo, ma qualcosa di spettacolare bisognava pur mostrare, per cui è la televisione lo spettacolo e non l'evento.

 

In Italia Studio Aperto, che già dal secondo giorno di conflitto, diventa il notiziario guida della guerra, si inventa una fonte anonima, mettendosi in collegamento con una famiglia di Tel Aviv, presa dall'elenco telefonico della città...

 

I Prigionieri

 

La terza puntata ci offre la possibilità di soffermarci sul rapporto tra logica del medium e logica istituzionale, spaccato del sistema informativo italiano. Ancora una volta al centro dell'attenzione è Emilio Fede, che si contrappone al Tg2, il quale lo accusa di speculazione giornalistica per aver dato una notizia non confermata, che si rivelerà poi essere esatta.

 

La microtrama riguarda i prigionieri dell'Alleanza occidentale catturati e mostrati in televisione da Saddam, unico momento il cui il Rais si serve del video per ingaggiare una guerra dei messaggi, in seguito utilizzerà la radio. In questo caso abbiamo una microtrama legata allo specifico italiano, che ha come protagonisti i due ufficiali dell'aviazione Bellini e Cocciolone.

 

La mattina del 20 gennaio la redazione di Studio Aperto mette le mani su un documento ignorato da tutte le altre redazioni nazionali. Si tratta di una confusa conferenza stampa del ministro dell'informazione  irakeno Yassem, il quale annuncia che alcuni prigionieri alleati saranno fatti sfilare in tv. Tra questi il ministro sottolineava che vi erano anche degli italiani. Il Tg2 smentisce la notizia in maniera categorica, e forse anche un po' grossolana. La smentita ruota attorno alla comprensibilità delle parole del ministro irakeno, nella traduzione dall'arabo all'inglese... Ecco come il notiziario del Tg2 la mattina stessa esordisce: “Nella frase c'era la parola The Time, cioè il tempo, che è stata fraintesa, questo ce l'ha spiegato un nostro collaboratore che conosce l'arabo, con italians, cioè italiani”.

 

Nel tardo pomeriggio, l'agenzia Italia e l'Associated Press da Nicosia, che diventerà uno dei principali punti di smistamento delle notizie, inviano dei dispacci in cui riferiscono che secondo la televisione iraniana soldati di nazionalità italiana sarebbero stati mostrati dalle antenne irakene.

 

A tal punto il Tg1 inizia ad interessarsi al fatto dando la notizia nelledizione del pomeriggio, immersa, però, dentro una grande quantità di condizionali. Come se non bastasse Studio Aperto trova un'altra fonte, un radioamatore che asserisce di aver sentito la voce di Cocciolone, uno dei prigionieri presunti, captando la trasmissione via radio. Sarà Peter Arnett dalla CNN a suffragare ogni dubbio: la notizia è confermata.

 

Analisi della comunicazione aberrata

 

Il sistema circuitale delle comunicazioni di massa, come abbiamo visto, caratterizza la società planetaria liberale, riunendola in un unico villaggio globale. Durante la Guerra del Golfo, l'Irak rimase isolato dai flussi informativi, per cui dopo l'esposizione televisiva dei prigionieri le antenne vennero bombardate e l'apparato statale irakeno utilizzò la radio come mezzo di propaganda militante. Ritornarono a galla, dopo cinquant'anni, le stesse metodologie comunicative utilizzate da Hitler e Mussolini.

 

Il Rais ha continuamente giocato con i messaggi, creando molto spesso caos sia informativo che diplomatico. Se messi in relazione al sistema informativo occidentale i messaggi sibillini radiofonici di Saddam possono essere considerati “messaggi aberrati”.

 

Con la fase della comunicazione aberrata entriamo nel vivo della macrotrama. Data l'impossibilità da parte della televisione di seguire la guerra nei campi di battaglia  l'attenzione si concentra principalmente sulle mediazioni internazionali.

 

E' la sesta puntata e Radio Bagdad, captata a Nicosia dalle strutture informative della Società Planetaria Liberale, annuncia che l'Irak è pronta al ritiro dal Kuwait. E' il Consiglio del Comando della Rivoluzione a firmare il comunicato, in realtà è Saddam Hussein che si nasconde dietro questo apparato... Come poi spiegherà Peter Arnett, molto spesso il Rais parlava dietro quest'organo. Il testo della traduzione dall'arabo, lascia molti spazi di ambiguità, tanto che sia la Casa Bianca che l'Opinione pubblica hanno difficoltà di decodifica.

 

La volontà espressa dal fantomatico Consiglio sembra quella di adottare la risoluzione 660 delle Nazioni Unite, quella in cui si chiede il ritiro incondizionato dal Kuwait. Successivamente però viene chiesto l'immediato ritiro delle forze alleate dal Golfo, il ritiro di Israele dai territori occupati e infine il ritiro delle truppe siriane dal Libano.

 

Per le strade di Bagdad, intanto, la CNN riprende scene di gioia collettiva. Il comando militare distanza in Arabia saudita riceve la notizia dal network americano... Al Pentagono vi è ottimismo. Il mondo arabo che fiancheggia gli alleati è fiducioso. Ma la fiducia e l'ottimismo passeranno presto, dopo che lo staff di Bush riconosce quella di Saddam come un'abile mossa propagandistica.

 

Nella settima e ottava puntata Saddam continua a tessere le trappole informative. Cerca la mediazione con l'Unione Sovietica ma al tempo stesso incita il suo popolo attraverso i discorsi radiofonici. Attraverso una rapida analisi semiotica di uno di questi testi, scopriamo che sono presentitermini ripetuti in modo ossessionante, come ad esempio Rifiuto e Ritiro aperti dalla parola Aggressione e chiuse dalla parola Battaglia. Il dittatore ripete lo stesso concetto più volte, basandosi su un modulo narrativo fisso:

 

“Hanno rifiutato di trattare con noi e adesso vogliono il nostro ritiro. Ci hanno aggrediti, ma noi combatteremo...!”

 

Un concetto questo che tende a far presa sull'orgoglio nazionale. Due sono i punti di maggiore interesse attorno al modulo narrativo fisso, supportate da strutture linguistiche tese alla mistificazione. Da un lato viene colpito il sentimento religioso:

 

“Privare l'Irak di tutte le sue caratteristiche, della sua fede...”

“Vogliono sacrificare il nostro popolo”

 

Poi Saddam accusa l'occidente di fare il gioco che lui stesso fa:

 

“Guardate cosa fa Bush, dice una cosa e ne fa un'altra”

 

Il giorno seguente a questo comunicato, il poratvoce di Gorbaciov, ultimo Presidente dell'Unione Sovietica, annuncia l'accordo con Tarek Aziz, ministro degli Esteri irakeno, mente strategica dell'operazione mediatico-diplomatica.

 

Giallo diplomatico

 

Nella nona puntata ci troviamo di fronte un ultimatum dell'Alto comando americano al governo irakeno, e a poche ore dalla scadenza quest'ultimo crea un tilt informativo allo scopo di far slittare l'ultimatum.

 

Sullo sfondo i piani di pace che si accavallavano tra loro. In primo piano una seduta delle nazioni Unite, nella quale l'ambasciatore irakeno annunciava che il suo governo “Ha risposto positivamente alla dichiarazione americana”...  Questo fu il messaggio uscito fuori dal palazzo di vetro. Un messaggio ambiguo, poiché non si capisce a quale dichiarazione americana l'ambasciatore voglia riferirsi. Tra le conferme e le smentite che si susseguono a ritmo incalzante, la tela della comunicazione aberrata si ingrandisce, tanto da trasformare la notizia in oggetto di valutazione assolutamente differenziate sia per ciò che riguardava l'amministrazione americana che i media. C'è chi pensa, addirittura, ad un colpo di stato in Irak, tanto che l'ambasciatore americano all'ONU Pickering chiede al collega irakeno a nome di quale governo stesse parlando. Dalla CNN invece il corrispondente dal Dipartimento di Stato fa l'ipotesi che l'Irak avrebbe accettato la dichiarazione americana solo se a chiederlo fosse l'ONU.

 

La comunicazione sull'esercito

 

L'undicesima puntata è il punto massimo di espressione della comunicazione aberrata. Questa volta anziché essere di una scelta propagandistica pianificata, si tratta di assolvere ad una funzione di tipo spiccatamente militare...

 

Il grande attacco è stato mosso, mentre la diplomazia si prodiga a fermare la fase finale del conflitto. Da Nicosia viene inviata una notizia, rimbalzata tramite l'Associated Press in tutto il mondo. Sembra che da radio Bagdad sia stato lanciato un messaggio secondo il quale saddam avrebbe ordinato alle forze di ritirarsi. All'ONU nessuno ne sa niente, tanto meno l'ambasciatore irakeno. Notizia certa è che i servizi di intelligence  dell'esercito americano hanno confermato “intensi movimenti di truppe dal Kuwait all'Irak...” Ecco che viene nuovamente a saturarsi il circuito informativo.

 

Il mistero verrà svelato poche ore dopo. Il comunicato era stato effettivamente lanciato da radio Bagdad, ma non in quanto annuncio alla popolazione, bensì diretto alle forze armate. Un comunicato teso a dare indicazioni agli ufficiali dell'esercito irakeno: indietreggiare le forze di terra disponendole per la difesa.

 

La radio costituisce l'unico strumento di comunicazione tra il comando militare e il fronte della guerra , e dato che la necessità militare è quella di non disperdere le truppe, probabilmente Saddam ha pensato bene di evitare l'errore di Hitler in Russia, quando l'assenza di informazioni sul fronte di guerra fu uno dei motivi della disfatta nazista.



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