Nella prima metà degli anni novanta esplose il fenomeno della preparazione universitaria costruito attraverso sistemi aziendali, di ri-organizzazione dei processi di apprendimento legati al pianeta universitario italiano. La logica sottesa a questi enti, di cui il primo è ancora presente in modo massiccio sul mercato, si fondava sul concetto di didattica breve, per accelerare, appunto, i processi di apprendimento. Al di là di qualsiasi posizione morale sulla funzione di queste aziende, occorre dire che se in un paese civilizzato fioriscono enti di preparazione universitaria ciò significa che in quel paese l'Università non funziona. L'unico aspetto forse interessante che si può estrapolare dalla didattica breve è quello relativo alla possibilità di costruire dei quadri logici soprattutto sulle discipline legate alle scienze sociali, che possono essere utili, non tanto, anzi potremmo dire non soltanto, all'apprendimento per superare un esame universitario, ma alla costruzione in pillole di scenari disciplinari da indirizzare a quei corsi di formazione dove soprattutto i temi sociali vengono affrontati senza prevedere un background dei discenti su quelle discipline.

 

Emile Durkheim
Emile Durkheim

 

 

TRACCE DI SOCIOLOGIA GENERALE

 

 

PIANO DI LAVORO

 

  • ASPETTI GENERALI DI METODOLOGIA DELLE SCIENZE SOCIALI
  • GENEALOGIA DEGLI APPROCCI TEORICI TRADIZIONALI
  • PROBLEMATICHE TEORICHE DELLA SCIENZA SOCIOLOGICA
  • WEBER E IL TIPO IDEALE
  • DURKHEIM E LA DIVISIONE DEL LAVORO SOCIALE
  • PARSONS E LA TEORIA DEI SISTEMI
  • PARETO E LA TEORIA DELLE ELITE
  • FREUD E LA PSICOANALISI
  • MEAD TRA COMPORTAMENTISMO E INTERAZIONISMO
  • PIAGET E GLI STADI DELLO SVILUPPO COGNITIVO
  • HAROLD GARFINKEL
  • LA SOCIOLOGIA NELLA SOCIETA’ POST-INDUSTRIALE

 

  

 ASPETTI GENERALI DI METODOLOGIA DELLE SCIENZE SOCIALI

  

I metodi di ricerca sociale non differiscono da quelli che utilizziamo per attingere informazioni nella nostra vista quotidiana. Ascoltiamo ciò che viene detto da altri, guardiamo, facciamo domande, leggiamo documenti, libri, giornali. Ciò che distingue il ricercatore scientifico è la sistematicità del metodo: cioè il fatto che la sua ricerca di informazioni è organizzata in funzione degli scopi che egli si prefigge.

 

  
Gli stadi della ricerca sociale

 

 Una curiosità, una domanda che è in attesa di risposta espressa nel linguaggio operativo.   Le donne passano più o meno tempo in casa per sbrigare i lavori casalinghi oggi rispetto a 50 anni fa? Un'ipotesi: una risposta provvisoria alla domanda e un tentativo di spiegazione. Le donne passano meno tempo in casa oggi rispetto alle loro nonne in quanto gli elettrodomestici hanno ridotto il tempo necessario per fare i lavori casalinghi. La scelta dello strumento di osservazione. Interviste alle casalinghe. Chiedere a un certo numero di casalinghe anziane quali erano i lavori che svolgevano in casa e quanto tempo dedicavano mediamente a ciascun compito. Porre la stessa domanda un un certo numero di casalinghe giovani.

 

La misura e la raccolta dei dati

 

Individuazione delle variabili e formulazione delle domande. Come vengono classificati i lavori domestici? Alcuni richiedono una pratica quotidiana altri vengono svolti solo saltuariamente. Come viene quantificato il lavoro in casa? La presentazione e analisi dei dati. Preparare un rendiconto delle domande effettuate e delle risposte; sintetizzare i risultati in tabelle, indicatori, grafici. La spiegazione: conclusioni che possano avvalorare l'ipotesi iniziale, o meno, aprendo forse la strada a nuove curiosità, nuove domande e nuove ipotesi. Come confrontare i risultati di questa ricerca con altre ricerche simili compiute in passato? Supponiamo che i dati dimostrino che invece le donne dedicano oggi maggior tempo ai lavori casalinghi. Come si spiega tutto ciò?

 

Misurazione

 

Per misurazione si intende l'acquisizione formalizzata di dati di osservazione mediante assegnazione univoca di un numero o di un simbolo ad una caratteristica o attributo dell'oggetto osservato, al fine di stabilire fra essi (i dati) delle relazioni significative. Per mezzo della misura la caratteristica o l'attributo dell'oggetto osservato diventa manipolabile secondo le proprietà dei numeri. Per esempio: misuro i confini di una proprietà terriera che fa parte di un lascito e la suddivido in parti uguali tra gli eredi. 

 

I livelli di misura 

 

Nelle scienze sociali è stata introdotta da S.S. Stevens (1946) la nozione di "livello di misura", in funzione della quale vengono precisate quali proprietà dei numeri si possono legittimamente estendere alla misura effettuata. Ai diversi livelli di misura corrispondono diversi tipi di variabili:

 

variabili nominali     =  

classificazione =

scala nominale

variabili ordinali      = 

comparazione   = 

scala ordinale

variabili di intervalli =

quantificazione =

scala ad intervalli equivalenti
scala di rapporti

 

Le variabili

 

Le caratteristiche o gli attributi degli oggetti sottoposti alla misurazione hanno forme e aspetti diversi per ciascun oggetto. Gli indicatori di queste caratteristiche vengono quindi designati come variabili: variano da un oggetto all'altro, da un individuo all'altro. 

 

I dati

 

I valori delle variabili possono assumere il nome di dati. I dati sono il risultato di una misura effettuata su di un elemento della popolazione osservata: un oggetto  o un individuo. Gli individui sono le unità statistiche della rilevazione. Nel loro insieme le unità statistiche prendono il nome di "popolazione", mentre il sottoinsieme delle unità statistiche di una popolazione viene denominato "campione". 

 

Variabili qualitative e quantitative

 

La distinzione è più complessa di quanto i termini, apparentemente banali, lascino supporre. Qualità e quantità non sono una proprietà dei fenomeni  bensì una proprietà dell'osservatore che compie una determinata scelta teorica e metodologica. 

 

Variabili qualitative

 

Una variabile è qualitativa quando la caratteristica dell'oggetto non viene misurata per mezzo di numeri ma per mezzo di categorie. Più propriamente vengono definite mutabili
Prendiamo, per esempio, il sesso. Il sesso viene classificato in due modalità: maschile e femminile.

Inoltre le due modalità sono sconnesse; tra l'una e l'altra non ci sono graduazioni di sorta. Prendiamo, invece, il colore degli occhi. Anche il colore degli occhi viene classificato in modalità, ma il colore varia insensibilmente da un colore chiaro a un colore scuro. Quindi le due variabili non possono essere considerate alla stessa stregua.
Il sesso è una variabile qualitativa discontinua e può essere espressa solo con attributi non ordinabili. Il colore degli occhi è una variabile qualitativa continua e può essere espressa con attributi ordinabili. Fra una variabile e l'altra siamo sempre in grado di individuarne una terza, intermedia.

  

Variabili quantitative

 

Una variabile è quantitativa quando la caratteristica dell'oggetto viene misurata tramite un valore numerico.  Sono variabili quantitative: l'età, il peso, l'altezza, il numero dei componenti della famiglia.  Anche le variabili quantitative si distinguono in continue e discontinue.
Sono variabili quantitative discontinue o discrete quando non si può passare insensibilmente da una modalità all'altra.

In pratica esse non possono assumere tutti i valori di un intervallo; 
Per esempio, il numero dei figli: tra due figli e tre figli non c'è un figlio e mezzo.
Sono variabili quantitative continue quando esse possono assumere tutti i valori di un intervallo.  Per esempio, l'età: tra venticinque anni e ventisei anni ci sono 365 diversi valori che rappresentano un punto dell'intervallo tra 25 e 26 suddiviso in giorni (la trecentosessantacinquesima parte dell'anno). 

La distinzione tra variabili continue e discrete è molto più complessa di quanto non sembri a prima vista. Vi sono variabili discrete che possono assumere un infinito numero di valori (almeno teoricamente) e pertanto vengono trattate comunemente come delle variabili continue: per esempio, la valuta. 
Da un punto di vista metodologico, la distinzione ha un senso solo in riferimento alla continuità teorica della variabile sottostante la misurazione. 
La variabile "età" è certamente continua, mentre la variabile  "numero dei figli" è certamente discreta. Eppure, agli effetti della misura, tutte le variabili, anche quelle continue, vengono trattate come variabili discrete. Prendiamo la statura: se essa viene misurata con il centimetro fra un valore e l'altro c'è sempre il salto di un centimetro; se viene misurata in millimetri vi è sempre il salto di un millimetro. 

 

Osservazione

 

L'osservazione è percezione volontaria e attenta del mondo sensibile finalizzata alla produzione di conoscenza (spiegazione).

Volontaria e attenta

In quanto percezione volontaria e attenta, l'osservazione è sempre organizzata in una serie di procedure più o meno formalizzate, secondo gli scopi che essa si propone.

 

Mondo sensibile

 

Questo aspetto dell'osservazione pone problemi di grande complessità se appena si passa dalle procedure tecniche dell'osservazione ad un esame attento di come l'osservatore si pone rispetto all'oggetto (il mondo sensibile) e alla sua effettiva possibilità di acquisire conoscenze "valide". In altri termini, si pone il problema di quale modello di osservatore viene adottato e qual è la nozione di realtà cui si fa riferimento. Finalizzata e selettiva In quanto percezione finalizzata alla produzione di conoscenza, l'osservazione è sempre selettiva, nel senso che essa non può prescindere da uno schema teorico o da un modello di riferimento che definisce lo scopo interpretativo dell'osservazione stessa, e quindi il suo obiettivo conoscitivo.

 

Osservazione e teoria

 

Il momento osservativo della ricerca, secondo questa definizione, non va confuso con le pratiche di osservazione tipiche della ricerca qualitativa, di solito presentate nei manuali come “tecniche per la raccolta dei dati sul comportamento non verbale”.

L’osservazione scientifica è un tema di più ampia portata che pone in essere questioni complesse dal punto di vista epistemologico come il rapporto tra teoria e osservazione.

E’ davvero possibile tenere distinti il momento teorico e la fase osservativa?L’osservazione non può che procedere dalla individuazione dei problemi, tenendo conto della enunciazione di concetti che sono prima di tutto il frutto di elaborazioni teoriche. Inoltre l’osservazione non può prescindere dal contesto di teorie generali che riguardano la misura, il grado di accettazione dell’errore probabilistico, la natura stessa dell’oggetto di osservazione. Infine, l’osservazione come qualunque altra attività umana viene effettuata tramite una dimensione sociale che è il linguaggio, con le sue categorie e i suoi luoghi comuni.

 

Fase esplorativa e fase investigativa

 

L'osservazione comprende sia la fase esplorativa della ricerca, il cui scopo principale è di giungere ad una chiarificazione preliminare dell'oggetto di studio; sia la fase di investigazione e raccolta dei dati che ne è il momento più formalizzato. E' per questo che l'osservazione è sempre attiva, rivolta ad uno scopo, e quindi creativa.

 
Le ipotesi

 

Le ipotesi sono descrizioni o congetture sulle relazioni tra variabili controllabili empiricamente e teoricamente. Le ipotesi sono dunque delle risposte provvisorie a problemi formulabili nel metalinguaggio della teoria e compatibili con i suoi costrutti teorici. Il loro status di asserzioni teoriche non analitiche (e quindi non inserite a pieno titolo nella teoria) è dovuto al fatto che esse non hanno ancora trovato una corrispondenza nel linguaggio oggettivo.

Secondo Scheffler, il livello di teorizzazione rappresentato dalle ipotesi è successivo a quello della formulazione delle categorie che indicano ciò che può e deve essere osservato.

Le ipotesi sono previsioni che attendono una verifica dall’esperienza; sono orientate al futuro e portano a ricercare delle prove empiriche. Le buone teorie aprono sempre la strada ad ipotesi addizionali, non sono mai chiuse in se stesse. Non sono mai definitive.

    

Come si formulano le ipotesi?

 

Le ipotesi possono essere dedotte dalle teorie come relazioni nuove tra fatti che devono ancora essere accertati, oppure possono sorgere come dato imprevisto, anomalo e strategico durante la conduzione di una ricerca empirica: il modello della serendipity. L’esempio più famoso nella storia della scienza è quello di Fleming per la scoperta della penicillina. Robert K. Merton la definisce come "la scoperta, dovuta alla fortuna o alla sagacia, di risultati ai quali non si era pensato" [MERTON, 1970: 255]. In parte la serendipity è fortuna, ma soprattutto è intuito, apertura mentale, disponibilità ad andare oltre il senso comune e a prestare attenzione alle piccole anomalie che si presentano sempre durante lo svolgimento delle ricerche. Il dato è imprevisto in quanto porta ad una osservazione inattesa, con riferimento anche ad aspetti teorici che non erano compresi nella ricerca.

L'osservazione è anomala, provoca una curiosità, in quanto non corrisponde a ciò che già si sapeva sull'argomento, e quindi spinge il ricercatore ad estendere le sue conoscenze. Il fatto è strategico in quanto le conoscenze nuove che suscita nel ricercatore hanno delle conseguenze sulla teoria, gli permettono di compiere delle generalizzazioni empiriche che possono correggere o estendere il quadro di riferimento teorico.

      

La formulazione delle ipotesi è sempre un grosso problema. Spesso si intende come ipotesi l'individuazione di "aree di studio" rivolte all'accertamento descrittivo di fenomeno. Oppure si propongono di avvalorare ipotesi già confermate in indagini precedenti, ripetendo le stesse procedure e sperando di conseguire i medesimi risultati.

Oltre che operazionalizzabili, e quindi tali da poter essere sottoposte a verifica empirica, le ipotesi devono avere un livello intermedio di generalizzazione rispetto al fenomeno osservato. In questo modo esse conservano una rilevanza teorica ma non assumono un livello di astrattezza tale da non avere alcun referente empirico.

 

Inoltre, le ipotesi devono essere "parsimoniose" nella spiegazione del fenomeno; è sempre preferibile scomporre un'ipotesi complessa in una serie di ipotesi più semplici, in modo tale che la regolarità empirica che si vuole accertare sia ben delimitata.

 

Analisi dei dati

 

Procedura di trattamento delle informazioni raccolte nella fase di osservazione allo scopo di stabilire delle relazioni significative tra le variabili caratteristiche degli oggetti osservati rispetto al quadro esplicativo che ha dato origine al processo conoscitivo della ricerca.

Le informazioni raccolte, ad un certo grado di formalizzazione della misura degli attributi, potranno essere elaborate con procedure quantitative adeguate. Secondo il livello di misura adottato saranno applicabili determinate procedure. In assenza di tale formalizzazione, giustificata dal quadro di riferimento teorico del ricercatore e dalle domande che egli si pone sui fenomeni osservati, l'analisi dei dati si avvale di metodi qualitativi.

    

Metodi qualitativi

 

Un approccio qualitativo si pone in termini di analisi della singolarità del fenomeno oggetto di studio, sia che si tratti di un gruppo di soggetti quanto di un evento. L’approccio qualitativo è prevalentemente sintetico rispetto all’oggetto: mira alla individuazione dei fattori di complessità dei fenomeni e cerca di comprenderli globalmente senza passare attraverso il processo di astrazione e semplificazione imposto dalla definizione delle variabili.  

L’analisi qualitativa dei dati non deve essere confusa con l’analisi dei dati qualitativi [MUCCHIELLI, 1996: 180]. I dati qualitativi rilevati attraverso l’osservazione partecipante o le interviste non strutturate (per esempio le storie di vita) possono essere trascritti in testi analizzabili mediante tecniche quantitative come la text analysis o la content analysis. Entrambe queste tecniche pervengono a distribuzioni di frequenza (delle forme grafiche o parole, oppure delle categorie di analisi) che permettono il trattamento statistico dei dati in modo del tutto analogo ai dati rilevati in modo più formalizzato mediante questionari o modelli di rilevazione.   L’analisi qualitativa propriamente detta non perviene mai a stabilire una proporzione o una quantità, ma piuttosto a ricostruire il senso soggettivo o collettivo di un fenomeno, fino a metterne in evidenza le dimensioni concettuali.

 

PROFILI

                                 WEBER E IL TIPO IDEALE

                    

       Max Weber fu uno studioso assai complesso per il suo tempo, difficilmente catalogabile fra le correnti di pensiero a cavallo tra i due secoli. Egli contesta la pretesa marxista (economia) e positivista (leggi di natura), nell’adozione di un criterio unico per spiegare la società, e quindi la storia.

            Weber per spiegare le dinamiche sociali parte dal presupposto che siano gli uomini, con le loro azioni a costruire la società, infatti parla di “azione sociale”, quando l’individuo agisce secondo una precisa volontà. Ma l’azione per essere tale deve avere un contenuto di senso, per cui quando gli attori attribuiscono un senso comune all’azione si ha la “relazione sociale”.

            Weber teorizza una scienza sociale fondata sulla selezione dei fenomeni sociali da studiare, in base ai valori dei ricercatori, che hanno la libertà di scelta sui fatti utili da comprendere, nel caos del mondo. Se valori diversi guidano alla scelta del campo d’indagine (relativismo culturale), è necessario però che i risultati della ricerca non siano inficiati da valutazioni ideologiche. In questa direzione la scienza deve essere oggettiva e quindi avalutativa. L’unica garanzia di oggettività è il metodo verificabile da tutta la comunità scientifica.

            L’ambito del dibattito scientifico all’interno del quale si confrontava Weber vedeva il rapporto tra scienze umane e scienze sociali, in funzione dell’elaborazione di un metodo d’indagine compiuto: da un lato chi tentava di accorparle, dall’altro chi tentava di mantenere le rispettive autonomie. Weber è interessato alla relazione tra le due scienze, anche perché vi è un elemento comune che accorpa l’intero sapere scientifico, che risponde alla domanda: Che vuol dire fare scienza? Lo studioso così risponde: Fare scienza vuol dire semplificare la realtà.

            Nel suo procedere scientifico Weber si scaglia contro due concetti: la quantificazione e l’esperienza vissuta, che non possono essere prese come categorie assolute. Per quantificazione s’intende la trasposizione in numeri di una serie di variabili: non è un metodo puro perché nasconde soggettività. L’esperienza vissuta invece è la ricostruzione di fenomeni già vissuti in loco: è impensabile poter far rivivere fenomeni già vissuti, questa non è analisi della realtà ma intuizione.

            L’approccio metodologico weberiano si propone di commistionare categorie e soggetti a seconda dei casi, cercando di esorcizzare il punto di debolezza metodologico delle scienze sociali, cioè la valutazione della scelta del fenomeno. Per ovviare a questa problematica Weber fa risalire il riferimento ai valori al concetto di “causalità”, che può determinarsi in due modi: secondo la ratio essendi e secondo la ratio conoscendi.

Il metodo scientifico costruito da Weber è quello del Tipo ideale, basato sull’estrapolazione di tratti della realtà, che catalogati creano un modello interpretativo. Per tipo s’intende la caratteristica estremizzata del soggetto, per ideale s’intende che non esiste nella realtà. Con questo approccio Weber studia vari aspetti fenomenologici della società industriale, quelli più celebri forse riguardano le fonti di legittimazione del potere, funzionali alla strutturazione burocratica delle organizzazioni istituzionali, aspetti questi che affronteremo in altre parti del testo.

 _____________________________________________________________

                DURKHEIM E LA DIVISIONE DEL LAVORO SOCIALE

 

            Verso la fine del XIX secolo il processo di assestamento del sistema capitalistico si realizzava, grazie alla seconda rivoluzione industriale, riscrivendo i rapporti sociali ed economici all’interno delle comunità nazionali.

            Sul piano dei conflitti ideologici e dell’evoluzione dei sistemi di pensiero, sviluppatisi durante l’ottocento, tra positivismo-liberalismo e pensiero critico-marxismo, si ha uno svecchiamento dei meccanismi d’interpretazione del mondo sociale. Uno degli esponenti più illustri di questo processo di trasformazione è il sociologo Emile Durkheim, che, autoinvestendosi ideologo della terza repubblica francese, aveva ereditato la visione funzionale del positivismo comtiano.

            Il punto centrale del pensiero di Durkheim è il ruolo giocato dall’apparato sociale e non tanto, come in Marx, dal sistema economico. Pur avendo coscienza che la società è di per se coercitiva, Durkheim avvertiva l’esigenza di trasformare tale funzione coercitiva in regolatrice, riconvertendo le ineguaglianze naturali in eguaglianze sociali. Se il sistema economico crea disparità dev’essere compito della società mettervi riparo, al di là degli individualismi e degli egoismi fomentati, a suo parere, dai liberisti.

            Durkheim conia il termine di “solidarietà organica”, all’interno di quello che diventerà uno dei testi sacri della sociologia classica: “La divisione del lavoro sociale”, scritto nel 1893. Per lo scienziato francese la divisione del lavoro, intesa come elemento del processo d’industrializzazione, è a fondamento della coesione sociale, assumendo una valenza di religiosità. Nella società a solidarietà organica ogni individuo può rafforzare la propria individualità, in relazione alla differenziazione del lavoro, che però deve essere funzionale all’unità del corpo sociale.

            La divisione del lavoro sociale viene elaborata da Durkheim in relazione al suo interesse per la modernità. Più specificatamente egli osserva il passaggio dalla società agricola, che definisce a “solidarietà meccanica”, alla società industriale a solidarietà organica, appunto. I processi di trasformazione tra quelli che chiama “Tipi Sociali”, sono così rapidi e radicali tali da provocare “Anomia”. Durkheim in sostanza dice che il sistema sociale è impreparato alla trasformazione in società industriale, e questo crea un vuoto di norme, all’interno del quale cresce una sensazione collettiva di mancanza di scopi, di mete. Questo a causa di quella che definisce “folle corsa al capitalismo”.

            Scrive Durkeim: “Vi è una particolare sfera della vita sociale dove l’anomia si trova attualmente allo stato cronico ed è il mondo del commercio e dell’industria… Dal momento in cui il produttore può pretendere di avere come cliente il mondo intero, di fronte a tali prospettive illimitate come può avvenire che le passioni si lascino circoscrivere come nel passato? (…) Da qui deriva l’effervescenza regnante in questo settore della società e ora estesa anche ai rimanenti settori. Lo stato di crisi e di anomia vi è costante, staremmo per dire normale. La corsa in cui è lanciata l’economia industriale rivela l’inutilità di un inseguimento senza fine”.

            Anche per Durkheim il metodo scientifico è di fondamentale importanza per lo statuto della sociologia, solo che a differenza di Weber, egli non crede nella libera scelta del sociologo in relazione al campo d’indagine, poiché i fatti sociali vanno considerati “come cose”. In tal senso, per catalogare le società oltre al paradigma dei fatti sociali egli usa quello delle “specie sociali”.

            Con questo approccio egli studia il fenomeno del “suicidio”, la prima vera ricerca strutturata nella storia della sociologia, modello d’indagine utile fino ad oggi. Egli studia il suicidio in quanto scelta individuale letta come causa sociale, e individua tre tipi di suicidio: ”egoistico, altruistico, anomico”.           

 

_____________________________________________________________

 

                     PARSONS E LA TEORIA DEI SISTEMI

 

In Parsons confluiscono, almeno idealmente, le principali teorie sociologiche sistematiche elaborate della sociologia europea (V. Pareto, E. Durkheim e M. Weber) i cui temi vengono ripresi nella Teoria dell'azione sociale (1937), che avrebbe dovuto inglobare, nelle intenzioni dell'autore, tutte le scienze sociali. Fondamentale è in Parsons la nozione di atto elementare come unità minima di analisi in cui vengono individuate quattro proprietà: l'attore (la volontà di agire di colui che compie l'atto); il fine (la situazione futura verso la quale è orientato processo dell'azione); la situazione (lo stato di cose in cui ha inizio l'azione); e l'orientamento normativo (la forma del rapporto tra tutte le proprietà precedenti, e cioè il tracciato dell'azione ritenuto desiderabile. Il modello struttural-funzionalista di Talcott Parsons (sviluppato appieno nel suo Sistema sociale, del 1951) si articola intorno ai concetti di ruolo, integrazione, e agli imperativi funzionali del sistema sociale.

 

Sistema

 

Un sistema è un insieme attivo di elementi interconnessi che si possono isolare ed individuare al fine di studiarne le proprietà. Le parti o componenti di un sistema sono connesse tra di loro in modo organizzato e complesso, per cui esse sono soggette ad alterazione qualora vengano estratte o inserite nel sistema.


 

 

Il concetto di sistema è al centro della teoria di Talcott Parsons. L'azione sociale in  questa concezione è organizzata intorno a quattro strutture fondamentali che rappresentano altrettanti sistemi: 

  • il sistema culturale
  • il sistema sociale
  • il sistema della personalità
  • il sistema organismo.

La sociologia, secondo Parsons, studia le proprietà del sistema sociale in relazione alle altre tre componenti strutturali viste come sottosistemi organizzazzativi dell'azione sociale: queste proprietà fondamentali sono gli imperativi funzionali

 

 

 

Imperativi funzionali
 
Ogni società è un sistema che deve organizzare persone e mezzi a disposizione per rispondere a quattro imperativi funzionali:  
A.   Adattamento:
acquisire le risorse dall'ambiente circostante e distribuirle all'intero sistema; funzione svolta dal sottosistema economico.
     B. Raggiungimento dei fini:
decidere quali obiettivi deve perseguire la collettività, stabilire delle priorità e mobilitare le risorse per raggiungerli; funzione svolta dal sottosistema politico.
     C.Integrazione:
coordinare e regolare le relazioni tra gli individui e i gruppi o, più in generale, tra le varie unità del sistema, in modo che tutte contribuiscano al mantenimento dell'equilibrio sociale; funzione svolta dal sottosistema normativo.
     D. Mantenimento della struttura latente:
conservare nella lunga durata le soluzioni adottate, fare in modo che i componenti siano motivati ad accettarle e garantire la gestione delle tensioni; funzione svolta dal sottosistema culturale, e cioè dalla famiglia, dall'istruzione e dalla religione attraverso il processo di socializzazione.
 
Lo Status
 
Lo status è l'aspetto strutturale di una posizione sociale. Sebbene sia indistinguibile dal ruolo, che ne rappresenta invece l'aspetto dinamico, il concetto di status mette in rilievo il fatto che ad una posizione sociale sono connessi dei modelli culturali che ne definiscono l'insieme dei diritti e doveri a prescindere da coloro che concretamente occupano tale posizione. Questo concetto è stato sviluppato compiutamente da Ralph Linton e ripreso successivamente da R.K. Merton e da T. Parsons.
Uno status, a seconda del sistema di relazioni sociali dal quale è definito, può essere determinato dalla nascita in base a particolari qualità o caratteristiche dell'individuo (status ascritto), come il sesso, l'età, la famiglia di appartenenza, la razza, ecc.; oppure può essere aperto alla competizione e quindi conseguito volontariamente dall'individuo in base al possesso di determinate capacità o abilità funzionali (status acquisito).
 
Integrazione
 
Il concetto di integrazione sociale è riferito, di solito, alla interdipendenza tra le parti di un sistema sociale e al suo stato di equilibrio. Quanto più le parti del sistema sono coordinate tra loro e contribuiscono al buon andamento del tutto, riducendo le spinte divergenti e ricomponendo gli eventuali conflitti, tanto più il sistema è definibile come integrato. Il concetto opposto a quello di integrazione è l'anomia, non il conflitto, in quanto il conflitto, di per sé, può disintegrare il sistema ma anche portarlo ad un livello superiore di integrazione.
Nel pensiero di Talcott Parsons il concetto di integrazione è l'imperativo funzionale cui l'intero sistema sociale deve far fronte per incorporare al suo interno i processi di differenziazione inerenti al potenziamento delle capacità di adattamento. Quanto più le risorse prodotte dal sistema economico sono generalizzate tanto più diventa necessario includere nel sistema sociale parti che prima ne erano escluse ma che hanno dimostrato di poter dare un contributo al funzionamento del sistema..
 
Sistema d’azione e gerarchia cibernetica
 
Parsons concepisce il legame sociale o il rapporto individuo-società nella forma logica del sistema d’azione, come quell’elemento d’ordine capace d’integrare l’individuo all’interno degli orientamenti normativi e di valore del sistema sociale.
Il sistema d’azione viene presentato da Parsons come una relazione tra soggetto e situazione; laddove per situazione occorre intendere quella parte del mondo che assume rilevanza e significatività per l’azione del soggetto. La situazione appare come quel settore della realtà suscettibile di essere interiorizzata dall’individuo.

Il quadro concettuale del sistema d’azione e spiegabile attraverso la nozione di “gerarchia cibernetica”. Questa consente di analizzare la complessa rete di relazioni sociali,attraverso tutte le componenti dell’interazione individuo-società.

 

  

Il modello

 

  

Il modello si sviluppa su quattro livelli: organico, psichico,sociale,culturale.

Parsons nel descrivere questo processo pone al livello più basso il sistema organico, poiché dispone di un maggior quantitativo energetico nei confronti del sistema psichico, che invece occupa una posizione immediatamente superiore, esercitando un controllo sull’organismo, ma che a sua volta subisce il controllo del sistema sociale e di quello culturale che si presentano poveri di energie, ma ricchi d’informazioni.

Il sistema culturale rappresenta il prodotto definito della progressiva trasformazione delle potenzialità energetiche contenute nel sistema organico in informazione, attraverso la conversione, prima nell’ambito del sistema della personalità (lo psichico) poi, in quello sociale.

Il sistema organico non possiede nessuna qualità, ma ha la funzione di fornire le risorse energetiche agli altri sistemi. E’ in questa continua ricerca dell’energia in informazione che è possibile attribuire un equilibrio alla vita.

Di fatto l’organico (il biologico) viene presentato come un sistema privo di specificità, di proprie caratteristiche intrinseche, per cui la qualità della vita dipende sempre da condizioni esterne alla vita stessa. La vita non possiede qualità, che appare come conseguenza di una trasformazione in cui la vita è coinvolta solo quantitativamente.

  

Ogni mutamento della gerarchia cibernetica è sempre accompagnato da un mutamento di energia che va da una forma quantitativa ad una qualitativa, che passa da uno stato di non organizzazione ad uno stato di ordine.

 

 

 

PARETO E LA TEORIA DELLE ELITE

 

A Pareto si deve l'importante distinzione tra le azioni logiche e azioni non logiche. Solo queste ultime possono essere oggetto di studio per il sociologo, mentre le azioni logiche sono un campo specifico dell'economia.
Nel suo Trattato di sociologia generale (1848-1823), Pareto si propone analizzare a fondo la struttura delle azioni non logiche e il modo in cui esse operano per la conservazione e il cambiamento sociale con una sterminata documentazione storico-sociale che, sebbene oggi appaia superata in molti punti, è stata sicuramente fondamentale per lo sviluppo delle discipline sociologiche.
Esemplare rimane, dal punto di vista del metodo, la sua analisi del sistema sociale come modello di interdipendenza reciproca tra interessi, residui, derivazioni, stratificazione e mobilità sociale. Per questo, un autore complesso e sistematico come Talcott Parsons ha assunto il pensiero di Pareto come uno dei più   fertili   per l'elaborazione   della sua "teoria dell'azione sociale".

 

FREUD E LA PSICOANALISI

 

Secondo Freud buona parte di ciò che orienta il comportamento umano è nell' inconscio e implica la persistenza nell'età adulta di strategie per fronteggiare l'ansia sviluppate molto precocemente nel corso della vita. La maggior parte di queste prime esperienze infantili scompare dalla memoria cosciente, sebbene rappresenti la base su cui si fonda la consapevolezza di noi stessi.

La psicoanalisi è la tecnica terapeutica che consiste nell'indurre il paziente a parlare liberamente di se stesso al fine di ricordare le proprie prime esperienze.

Freud pone al centro dello sviluppo della personalità il soddisfacimento del bisogno erotico che gli individui si portano dietro fin dalla nascita, intendendo per erotico un generale bisogno di contatti fisici intimi e piacevoli.

  

Lo sviluppo psicologico è un processo che comporta forti tensioni. In tal senso il bambino impara progressivamente a controllare le pulsioni attraverso quattro stadi tipici. Quello più significativo è lo stadio edipico. La prima forma di attrazione erotica provata dai bambini è per i genitori del sesso opposto. Tale fase viene superata reprimendo, a livello inconscio, le pulsioni. Per i maschietti il complesso edipico si manifesta con la parallela avversione nei confronti del padre, per via dei suoi diritti sessuali nei confronti della madre. Le bambine invece reprimono i desideri erotici verso il padre, superando l'avversione per la madre, sforzandosi di diventare femminile come lei.

 

Per Freud l’uomo allo stato di natura si pone in estremo conflitto con la società. Le sue pulsioni biologiche, costringono l’individuo a cercare piaceri che la società proibisce. Egli fa un distinguo tra due gruppi di istinti: Eros e Tanatos, che corrispondono agli istinti dell’amore, intesa come vita, e della morte. I primi danno vita alla complessa economia della libido, intese come manifestazione della istanza sessuale. Il secondo gruppo di istinti sono quelli della morte e dell’autodistruzione, cioè l’aggressivita che si sprigiona verso l’esterno come verso se stessi.

 

E’ attraverso il processo di socializzazione che l’uomo imbriglia le forze istintuali, addomesticandole e canalizzandole verso quelle direzioni prescritte dalla società.

 

Secondo Freud la personalità dell’individuo si compone di tre parti distinte: Es, Io, Super-Io.

L’Es è una sorgente di energia tesa alla ricerca del piacere, e rappresente le forze istintuali.

L’Io è la parte cosciente della personalità, sensibile al mondo esterno e plasmata alle influenze esercitate da questo. E’ in un certo qual modo il sorvegliante della personalità. L’Io trae origine dall’Es, differenziandosi in conseguenza delle esperienze col mondo esterno.

Il Super-Io è l’elemento che opera una censura sull’Io, ne rappresenta l’istanza morale e si struttura nell’infanzia incarnando la figura genitoriale idealizzata, che richiede un comportamento adeguato.

 

Per Freud la personalità si forma compiutamente nel superamento di quattro fasi, ognuna delle quali collegata con una zona esogena del corpo…

 

- Fase orale - Tutte le attività del bambino s’incentrano nell’ottenere

   soddisfazione   attraverso la bocca.

-          Fase anale - Diventano importanti le operazioni di ritenzione ed eliminazione.

-          Fase fallica - In essa vi è la principale forma di piacere rappresentata dal pene. Qui i maschi entrano nella fase edipica, prendendo la madre come fonte delle proprie fantasie erotiche.

-          Fase genitale - Corrisponde all’inizio della pubertà, che permette di proiettare la  sorgente del piacere sessuale verso il sesso opposto, superando l’attacamento genitoriale.

 

Per Freud lo sviluppo della personalità arriva a compimento una volta superate positivamente le quattro fasi primitive. Può accadere che un individuo non abbandoni una delle fasi e rimanga fissata ad essa. In tal caso il risultato determina stati di perversione.

 

In effetti il “complesso d’Edipo” è il momento più interessante dell’edificio scientifico freudiano. Abbiamo detto che si riferisce alla fase fallica, dove il maschio nutre un particolare attaccamento alla madre, che si traduce in fantasie erotiche; mentre nei confronti del padre il bambino prova un sentimento ambivalente: ammirazione da un lato, in quanto modello maschile con cui identificarsi, ma anche odio come rivale in amore. Tutto dipende da come viene superata questa fase. La via normale è la Transazione affettiva: il bambino s’identifica positivamente col padre, e sposta la sua libido verso le altre figure femminili. Quando la Transazione affettiva non viene permessa nasce il Complesso d’Edipo. Le cause sono quindi individuabili nel sistema genitoriale.

Es.: Un padre particolarmente severo può provocare nell’infante una rimozione violenta dell’impulso sessuale, per poi in età adulta per essere rigettato nel subconscio.

L’essenza del processo di rimozione non consiste nel sopprimere una idea che rappresenta una pulsione, ma nell’impedire di diventare cosciente. Se tale tendenza rimane operante, sfocia in un precisi comportamenti sintomatici come l’isteria.

 

Freud e la devianza

 

 

Per Freud alla base di un comportamento deviante vi è un complesso non risolto. Lo studioso intende però diversi livelli di devianza. Quella più significativo attiene alla devianza sociale, quando cioè un complesso non risolto, in quanto situazione attiva ma inconscia, si traduce in comportamenti che sono in conflitto con le aspettative istituzionalizzate della società.

 

Il compiere atti proibiti all’ordine sociale, allevia il senso di colpa come reazione ai due grandi propositi criminosi archetipici: uccidere il padre e avere rapporti sessuali con la madre.

 

Ad un altro livello, il suicidio può trovare una sua matrice nella trasformazione in autoaggressione di forze eterodistruttive che non trovano attuazione in quanto tali.

 

Tutti i comportamenti Sintomatici delle psiconevrosi, come l’isteria, rivelano un forte conflitto tra Io e Super-Io.

 

 

       MEAD TRA COMPORTAMENTISMO E INTERAZIONISMO

 

Nella tradizione sociologica Mead è considerato il padre dell'interazionismo simbolico.

Mead parte dal presupposto che l'individuo è un prodotto sociale, quindi il bambino non nasce con un  ma lo acquisisce, attraverso l'imitazione delle azioni di quanti lo circondano. Il gioco è uno dei modi attraverso cui si sviluppa tale processo.

I giochi infantili si evolveranno in esperienze che portano il bambino, all'età di quattro o cinque anni ad interpretare il ruolo dell'adulto. Questa fase viene chiamata assunzione del ruolo dell'altro, che consiste nell'imparare cosa significa essere nei panni di un'altra persona.

Secondo Mead si arriva all'autoconsapevolezza quando si impara a distinguere tra "Me" e "Io". L' "Io" rappresenta il bambino non socializzato, con bisogni e desideri spontanei, mentre il "Me" rappresenta il bambino socializzato e quindi autoconsapevole.

All'età di otto o nove anni i bambini tendono a partecipare ai giochi organizzati. A questo punto cominciano a capire i valori etici insiti nella vita sociale, perché per i giochi organizzati è necessario capirne le regole e il senso della partecipazione. E' in questa fase che il bambino comincia ad afferrare il significato di ciò che Mead definisce Altro generalizzato, vale a dire valori e norme della società in cui sta crescendo.  

 

 

TEMI

 

Il Ruolo

 

Il ruolo è l'aspetto dinamico di una posizione sociale. Sebbene sia indistinguibile dallo status, che ne rappresenta invece l'aspetto strutturale, il concetto di ruolo mette in rilievo il fatto che ad una posizione sociale è connesso un modello organizzato di aspettative relative a compiti, condotte, atteggiamenti, valori e relazioni reciproche che devono essere mantenute dalle persone che occupano posizioni specifiche all'interno di un gruppo.

Il concetto di ruolo è centrale nella teoria di G.H. Mead sullo sviluppo del Sé. Il ruolo rappresenta per Mead l'atteggiamento che un individuo adotta in una relazione interpersonale e che costituisce una risposta agli atteggiamenti assunti dagli altri. E' qui che Mead introduce la nozione di "altro generalizzato" e cioè l'assunzione della prospettiva di un Alter "generico" che consente di prevedere le sue reazioni in una situazione di interazione. L'assunzione di un "altro generalizzato" nell'esperienza di un individuo è il

segno della sua avvenuta socializzazione, della sua maturazione sociale.

 

PIAGET E GLI STADI DELLO SVILUPPO COGNITIVO

 

Piaget è l'unico, rispetto agli studiosi precedenti, che ha direttamente osservato il comportamento infantile su campioni. Egli conclude che gli esseri umani attraversano diversi stadi di sviluppo cognitivo, cioè il processo attraverso cui si impara a pensare a se stessi e al proprio ambiente. Ciascuno stadio comporta l'acquisizione di nuove capacità e dipende dal riuscito completamento del precedente.

Primo stadio: sensomotorio. Dalla nascita ai due anni. Il bambino non riesce a differenziare se stesso dall'ambiente, egli apprende toccando gli oggetti, manipolandoli ed esplorando fisicamente il proprio ambiente.

Secondo stadio: preoperazionale. Dai due ai sette anni. Il bambino acquisisce la padronanza del linguaggio e diventa capace di usare le parole per rappresentare oggetti e immagini in modo simbolico. I bambini non sono in grado di sfruttare sistematicamente le proprie capacità mentali in via di sviluppo. Essi sono egocentrici nel senso che interpretano il mondo dal loro punto di vista.

Terzo stadio: operazioni concrete. Dai sette agli undici anni. Il bambino s'impadronisce delle nozioni astratte e logiche, sono meno egocentrici.

Quarto stadio: operazioni formali. Dagli undici ai quindici anni. Nel corso dell'adolescenza che il ragazzo in via di sviluppo diventa capace di afferrare idee altamente astratte e ipotetiche.

 

____________________________________________________________

 

HAROLD GARFINKEL

 

E' il fondatore dell'etnometodologia che considera l'esperienza di interazione quotidiana come il processo fondamentale attraverso il quale gli individui costruiscono e interpretano la realtà sociale. Secondo questo approccio l'individuo "attribuisce un senso" alla situazione cercando di utilizzare ciò che già appartiene alla sua esperienza per fare in modo che sia in linea con quello che lui considera socialmente accettabile.

 

Diversamente da Durkheim e dai funzionalisti in genere, Garfinkel non assegna ai fatti sociali una esistenza autonoma che si "impone" sugli individui. Il mondo sociale è invece visto come un continuo processo di costruzione e organizzazione di esso nella vita di ogni giorno. Il sociologo deve studiare e analizzare i "metodi" che la "gente" (etno) impiega per dare un senso al loro mondo sociale. L'etnometodologo per raccogliere i dati necessari per condurre la sua analisi ricorre preferibilemente a metodi di indagine in profondità, come l'intervista libera, l'osservazione partecipante e l'analisi delle conversazioni.

 

 

LA SOCIOLOGIA NELLA SOCIETA’ POST-INDUSTRIALE

 

 

Dahrendorf

 

Ralf Dahrendorf è nato ad Amburgo, in Germania, nel 1929. Ha studiato lingue e letterature classiche, filosofia e sociologia ad Amburgo e a Londra. Dal 1957 al 1968 è stato professore di Sociologia ad Amburgo, Tubinga e Costanza, Visiting Professor alla Columbia University (nel 1960) e membro del Center for Advanced Study in Behavioral Sciences a Palo Alto in California (dal 1957 al 1958). Nell'ambito della sua attività politica di Liberal viene eletto nel Parlamento del Baden-Würtemberg e quindi nel Parlamento della Repubblica Federale Tedesca. Nel 1968 entra a far parte del primo governo di Willy Brandt, e nel 1970 è nominato membro della Commissione delle Comunità Europee, responsabile del Commercio estero e dei Rapporti con l'estero prima e della Ricerca poi. Fra i suoi vari incarichi, quello di Consigliere di Amministrazione della Ford Foundation (dal 1975 al 1987) e della Charities Aid Foundation (dal 1993), di presidente del Consiglio di Amministrazione dell'East European Publishing Project (dal 1986).

Nell'ambito dell' insegnamento, dopo aver insegnato in diverse università, RalfDahrendorf nel 1974 è stato chiamato per sostituire Karl Popper alla direzione della prestigiosissima London School of Economics. Nominato lord dalla Regina, e quindi membro della Camera dei Lords, dichiara ormai di sentirsi al 90% inglese e solo per un 10% tedesco. Dahrendorf è attualmente in Europa uno dei più autorevoli esponenti del neoliberalismo e ritiene indispensabile integrare il pensiero classico liberale con una maggiore riflessione sul sociale; questo è anche l' oggetto di gran parte dei suoi studi, fra i quali quelli dedicati all'analisi del conflitto sociale nella società post-capitalistica.

In politica Dahrendorf si dichiara convinto estimatore di Tony Blair. Il sociologo indica il primo ministro inglese come il modello del nuovo politico post-moderno, flessibile e non incasellato ideologicamente, più che un figlio della socialdemocrazia un esponente di quella che lui chiama " rock-generation ", politica caratterizzata dalla mancanza di forti legami con il passato.

Secondo lo studioso la proposta politica di Blair, a suo avviso l' unica veramente innovativa in Europa, da un lato si basa sulle classiche istanze socialdemocratiche - tutela delle classi più deboli, potenziamento e rifinaziamento di scuola e sanità pubbliche - dall'altro si appropria con successo di alcuni temi cari ai conservatori come la lotta alla microcriminalità, l'abbandono dell'assistenza sociale generalizzata o la scelta di una politica estera più allineata agli Stati Uniti che non all'Europa. Blair, inoltre, affronta con spirito nuovo antiche questioni prescindendo dagli schieramenti consolidati, prima fra tutte il tentativo di ridefinire le funzioni e i limiti dello Stato in accordo con le esigenze del libero mercato e dello sviluppo economico.Questo complesso e ambizioso progetto politico si pone come un superamento delle tradizionali contrapposizioni fra destra e sinistra: una " terza via " ( o " nuova via ") la definisce Anthony Giddens, uno degli ispiratori politici di Tony Blair e successore di lord Ralf Dahrendorf alla direzione della London School of Economics. Attualmente Ralf Dahrendorf è presidente del St. Antony's College di Oxford e Pro-Vice-Chancellor dell'Università di Oxford. È autore di numerosi libri, fra i quali Il conflitto sociale nella modernità (1988), Riflessioni sulla rivoluzione in Europa (1990) e Quadrare il cerchio (1995).

 

 BIBLIOGRAFIA

     

-          Collins,R., "Teorie Sociologiche", Il Mulino, 1992.

-          Durkheim, E., “La divisione del lavoro sociale”, Comunità, 1962.

-          Durkheim, E., “Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia”, Comunità, 1969.

-          Giddens, “Sociologia”, il Mulino, 1992.

-          Izzo, A., “Storia del pensiero sociologico”, il Mulino, 1994.

-          Mead, H., “Mente, Sé e società”, Universitaria, Firenze, 1966.

-          Parsons, T., “La struttura dell’azione sociale”, il Mulino, 1987.

 

                           Max Weber
Max Weber