I seguenti moduli di comunicazione sono stati condotti durante gli anni novanta all'interno di corsi di varia natura, finanziati dal fondo sociale europeo. Gli approcci utilizzati erano estremamente canonici, legati per lo più ad esperienze frontali e role playing, sulla base dei postulati classici della sociologia e della psicologia sociale.

  

  

La comunicazione e il rapporto individuo-società 

   

I concetti chiave 

                                          

Contingenza 

 

La realtà è contingente perché rivela la sua estraneità* dal senso e dai contenuti propri ad un ordine naturale, ciò rende impossibile connettere la serie dei mezzi con il fine, situazione venutasi a determinare dal progresso infinito, generatore, appunto, della separazione della realtà dalle sue immediate finalità.

 

Complessità 

 

Il sistema sociale diventa complesso nel momento in cui si ha un eccesso* delle possibilità di esperienze e di azione del mondo rispetto ad un sistema che, alla pari di ogni organizzazione di tipo burocratico, non sa né può rispondere con esperienze ed azioni adeguate.

 

 

Autopoiesi 

 

Ogni individuo è un sistema chiuso in se stesso che si auto produce.

  

Legame sociale 

  

Il rafforzarsi dell’interiorità psichica è direttamente proporzionale all’allentamento del legame sociale, questo perché le certezze di individuazione sociale diventano più sfumate, e, al contempo l’uomo tende a ricercare se stesso e il significato della vita nella propria dimensione psichica. Nel momento in cui la società si presenta priva di riferimenti simbolici per l’agire del soggetto, il senso di limitazione assume un carattere concreto sotto il profilo psichico.

    

Dislocazione emozionale 

 

Quando l’eccitazione emotiva si è prodotta a contatto con una situazione, ma i suoi effetti emergono in un’altra, la risposta che ne consegue è chiamata “dislocazione di emozione”, che si traduce in rabbia o ostilità. L’attutirsi di una emozione determinata dalla possibilità di sfogarla è chiamata “catarsi”: si ha un effetto catartico quando l’attività aggressiva riduce l’eccitazione psichica.

 

                       

GESTIONE DEL SE'

    

Percezione di sé

 

Il concetto di Sé di un individuo è nell’insieme un riflesso delle opinioni degli altri sull’individuo stesso, cioè l’idea che noi abbiamo del modo in cui gli altri, quindi il mondo sociale, ci osserva e ci giudica.

 

         La società fornisce uno specchio in cui l’individuo scopre la sua immagine o una definizione di sé.

 

            Il modo di considerare se stessi è, dunque, intrecciato in modo complesso ai rapporti sociali: di conseguenza, tali concezioni possono essere molto fragili. Ci si pone il problema di come possano gli individui mantenere stabili nel tempo la loro immagine di sé. 

 

            L’immagine di sé viene a svilupparsi osservando i modi in cui si distingue dagli altri: osservare le differenze serve ad accrescere la coscienza di una particolare caratteristica, e questa diviene un mezzo di identificazione personale. Il modo in cui noi ci definiamo dipende dalle risposte e dalla presenza degli altri. Noi impariamo a conoscerci osservando il modo in cui gli altri reagiscono al nostro comportamento, confrontandoci con coloro che ci circondano, e concentrandoci su quegli aspetti del nostro sé che ci distinguono dagli altri.

 

Autoconferma

 

            Il processo di autoconferma viene determinato assicurandoci che l’ipotesi che abbiamo di noi stessi sia esatta, e si sviluppa su tre livelli…

Attenzione orientata - Ogni giorno gli altri ci trasmettono una grande quantità di informazioni su noi stessi, che ci esprime il modo in cui siamo considerati, in tal senso siamo più attenti alle informazioni che confermano le nostre ipotesi.

  

Interpretazione orientata - Le azioni altrui sono soggette a una continua interpretazione. Poiché il significato delle azioni altrui non è mai del tutto chiaro, usiamo la nostra libertà di interpretazione, da plasmare in base alle nostre opinioni.

  

Affiliazione e presentazione - Spesso ci comportiamo in pubblico in modo da incoraggiare un certo tipo di reazioni. Diamo agli altri le informazioni necessarie per essere trattati come vogliamo e se questo non succede, ci sentiamo frustrati e facciamo tutto il possibile per ottenerlo.

 

Attribuzione causale

 

            L’attribuzione causale è una forma di autodifesa che ci porta a considerarci causa dei nostri stessi successi, sebbene attribuiamo i fallimenti a cause esterne. Le attribuzioni causali variano a seconda che la persona sia attore o osservatore dell’azione e a secondo di ciò che può loro convenire in una determinata situazione. I margini di disaccordo nel risalire alle cause, cioè decidere se l’individuo va accusato o ammirato, sono ampie.

 

Gli attori spesso considerano le proprie azioni come effetto dell’ambiente, mentre gli osservatori non attori le attribuiscono all’attore.

 

Gestione” dei sentimenti

  

            E’ opinione comune che le esperienze più significative dal punto di vista sociale sono quelle afferenti alle emozioni. I sentimenti dominano il modo di agire verso se stessi e verso gli altri. Le principali decisioni della vita si basano proprio sui sentimenti… Le espressioni emotive sono tra le manifestazioni umane che hanno maggiori ricadute sul piano sociale. Per avere successo dobbiamo essere in grado di saper trasmettere e decodificare i segnali delle emozioni. C’è da dire che esiste una predisposizione genetica alla manifestazione delle emozioni come rabbia, paura, tristezza e gioia.

 

Feed-back facciale - Questa teoria, che si rifà appunto all’approccio biologico, afferma il fatto che esprimere le emozioni con il volto ci da informazioni sui nostri sentimenti.

 

Teoria bifattoriale delle emozioni - Se l’approccio biologico ci dice che esistono delle modalità espressive innate, l’approccio cognitivo spiega che gli stati emotivi sono il frutto del modo di percepire il mondo sociale. Infatti una situazione di pericolo che porta al sentimento della paura, dipende dalla diversa percezione della paura che ognuno di noi ha.

 

            La teoria bifattoriale considera la manifestazione delle emozioni in termini di identificazione, e richiede una classificazione cognitiva in base alle regole sociali che determinano quali etichette applicare. Es.: l’attrazione fisica può essere classificata come amore, infatuazione, attrazione sessuale.

 

L’autostima

         Attraverso l’immagine di sé ogni persona classifica se stessa in base ad una organizzazione concettuale chiamata “schema del sé”. Se si associano sentimenti positivi alla propria immagine si ha una forte autostima, in caso contrario l’autostima è scarsa.

 

            Nel corso della vita l’immagine di sé si sviluppa e cambia in base soparattutto al feedback sociale che aiuta le persone ad imparare chi sono. Questo fenomeno è chiamato “sé autoriflettente. Non sempre sono essenziali apprezzamenti diretti, si può accrescere l’autostima beandosi per gloria riflessa. Es. Mio figlio ha preso trenta e lode all’esame universitario…

 

L’aggressività

 

            Si definisce comportamento aggressivo l’insieme di azioni dirette a colpire uno o più individui tali da infliggere loro sofferenze fisiche e morali. Questa definizione tiene conto dell’intenzione che anima l’aggressore, mentre considera separate l’aggressività dalle emozioni.

        

Freud affermava che l’individuo è istintivamente aggressivo. Tuttavia, differenze individuali e culturali nelle manifestazioni aggressive dell’uomo fanno ritenere che l’influenza genetica abbia un ruolo indiretto.

 

            L’influenza maggiore sul comportamento aggressivo è esercitata oltre che dalla struttura biologica, dall’apprendimento sociale. La gente diventa aggressiva o per ottenere vantaggi o per evitare sanzioni.

 

            Ricorrere a punizioni per frenare l’aggressività porta solamente a una sua temporanea riduzione mentre ne facilita la ricomparsa. L’aggressività può essere appresa attraverso l’osservazione di modelli.

 

            Una delle cause più studiate che può generare l’aggressività è la frustrazione, cioè l’impossibilità di pervenire ai propri fini. Più il sentimento di frustrazione è intenso più aumentano le possibilità di una risposta aggressiva.

 

Quando l’eccitazione emotiva si è prodotta a contatto con una situazione, ma i suoi effetti emergono in un’altra, la risposta che ne consegue è chiamata “dislocazione di emozione”, che si traduce in rabbia o ostilità.

 

            L’attutirsi di una emozione determinata dalla possibilità di sfogarla è chiamata “catarsi”. Si ha un effetto catartico quando l’attività aggressiva riduce l’eccitazione psichica. Tuttavia le azioni aggressive di per se possono far aumentare la probabilità di una futura aggressione a meno che non intervengano sentimenti di empatia o la soddisfazione di essersi presi la rivincita.

 

            Il comportamento aggressivo non è una reazione automatica a uno stimolo o all’eccitazione ma una forma di rappresentazione sociale.

 

L’importanza della relazione

 

            La ricerca di un sistema di vita armonico è una delle caratteristiche più antiche nel rapporto tra individuo e società. Eppure la ricetta per strutturare questo rapporto in armonia è più semplice di quello che può apparire. La scuola dell’interazionismo simbolico ha individuato proprio nel sistema di relazione la chiave di volta di tale problematica. Gli individui per vivere in società devono condividere delle regole, le quali dovrebbero essere adottate diffusamente, consentendo agli individui di rispettarle. Nella realtà questo non avviene sempre, però se le regole fossero rispettate anche le relazioni più complesse potrebbero svolgersi armoniosamente.

  

            Questo ci porta a definire il sistema di relazioni come un ingarbugliato emisfero che viene a determinarsi attraverso la comunicazione, la quale è soltanto l’esperienza sociale finale del rapporto individuo-società. Alla base del sistema di relazione sta proprio la condivisione delle regole e quindi delle aspettative sociali.

 

            Il rispetto delle aspettative altrui può essere codificato come il tessuto connettivo all’interno del quale definirsi e definire un rapporto armonioso con Alter, cioè con il mondo sociale, che però è continuamente compromesso dall’ambiguità del comportamento umano.

 

 

LA CRISI DEL LEGAME SOCIALE

 

Il principio biologico della differenza

 

            Alla base dei meccanismi psichici dell’uomo è presente la capacità di organizzarsi sulla base di stimolazioni esterne. Questa capacità di apprendere modelli di comportamento morale dipende, in larga misura, dal suo carattere generico.

 

            Per genericità bisogna intendere la differenza che l’uomo sembra avere, in quanto mancante di attrezzature organiche precise, nei confronti delle altre specie viventi.      

 

Esempio: Consideriamo la natura di un essere umano e quella di un cane, e poniamoci una domanda: prendiamo un uomo e un cane, nati e cresciuti in Italia, e li trasferiamo in Brasile, il loro adattamento all’ambiente sarà lo stesso o sarà difforme? Nel caso dell’uomo sarà difforme poiché dovrà adattarsi a nuove norme sociali, ad un nuovo linguaggio, a nuove abitudini. Nel caso del cane sarà lo stesso poiché dovrà, come in Italia, rispondere ai bisogni del proprio organismo, cioè quello di sfamarsi e difendersi per sopravvivere, mettendo in atto quelle specificità organiche, che fanno parte del suo corredo biologico.

 

            Da questo esempio si evince la differenza tra la genericità organica dell’essere umano, e la specificità organica degli altri esseri viventi. Quindi, il corredo biologico del cane è attrezzato per rispondere al principio biologico della differenza, vita-morte, mentre la genericità organica dell’essere umano, impone allo stesso la rottura del nesso di continuità col principio biologico della differenza, imponendo al suo corredo organico di sopperire all’assenza di specificità attraverso l’acquisizione delle norme sociali: non più, dunque, vita-morte ma vita-vita.

 

            Così il senso della normatività nell’uomo, non dipende da fattori interni (biologici), ma da quelli esterni (etico-sociali). Ciò allontana l’uomo dalle proprie radici biologiche, dalla vita in quanto specificità originaria.

 

            La natura dell’uomo dipende dal carattere manchevole del suo equipaggiamento organico, inadatto a vivere in un ambiente naturale, ma soprattutto secondo la logica della vita biologica. In questo modo l’uomo deve crearsi una seconda natura artificiale.

 

            La socializzazione è il processo che ha il compito di attribuire specificità all’individuo attraverso l’assunzione di un “comportamento di ruolo”. Il ruolo implica un tipo di risposta alla realtà che tende ad assumere per il soggetto un valore normativo.

  

            L’uomo viene informato dall’esterno, da valori che di fatto non implicano né una continuità tra gli uomini, né tra culture diverse. Contrariamente a quanto accade nella vita biologica in cui la normatività è fissata definitivamente in opposizione alla non vità, cioè alla morte, la dimensione culturale non riesce ad eliminare le differenze tra gli uomini che essa produce. I limiti a cui è soggetto l’individuo variano, infatti da cultura a cultura, per cui comportamenti considerati devianti da una cultura possono essere ritenuti normali da un’altra.

 

            Sia il sistema della personalità (attraverso l’interiorizzazione delle norme), sia il sistema sociale (attraverso il comportamento di ruolo) sono organizzati intorno agli stessi valori. Questi valori sono dunque in funzione del rapporto che si stabilisce tra l’individuo e la società, in funzione cioè della relazionalità. Mentre è ben diverso il rapporto che unisce la personalità all’organismo. Quest’ultima fornisce le risorse che poi saranno utilizzate a fini di carattere sociale.

 

Il Sé bios: interiorizzazione della società sul piano dei meccanismi neurofisiologici

 

            L’ipotesi di una spiegazione biologica della relazionalità è possibile solo se lo stesso “biologico” viene svuotato della sua normatività intrinseca (differenza vita-non vita) e ridefinito secondo la logica relazionale propria del sistema psichico. Il biologico è annullato nelle sue caratteristiche intrinseche, nell’ambito delle funzioni psichiche. Per questo la relazionalità può assumere nell’uomo un carattere naturale.

 

            Gli elementi genetici nell’uomo assumono le caratteristiche di un sistema chiuso in se stesso, dipende dal carattere innato e sostanzialmente rigido nelle sue risposte adattive. Gli elementi biologici, in questa particolare versione, assumono un carattere non innato, che vengono ricondotti ai processi di acquisizione e interiorizzazione di un comportamento.

 

            L’individuo appena nasce è fornito del cosiddetto “encefalo plastico”, il quale, nel corso del processo di socializzazione, viene modellato proprio nell’acquisizione delle norme sociali.

 

            L’encefalo plastico, dunque, assume una specificità non in rapporto alle componenti innate (genetiche), ma in rapporto alla capacità dell’individuo psichico di apprendere elementi extraorganici (che non fanno parte del proprio organismo), cioè elementi socio-culturali.

 

            La specificità etica dell’uomo non dipende dal riconoscimento della vita in quanto tale, ma dalla capacità di apprendere norme e modelli di comportamento sociali.

 

            La biologia epigenetica o “Disposizione-a”, consente di spiegare la tendenza dell’uomo ad assumere una specificità dall’esterno o più precisamente sul piano dei processi sociali.

 

            Se la capacità acquisitiva dell’uomo può essere individuata nell’ambito della struttura plastica del cervello, la “cultura”, in quanto prodotto collettivo, ha bisogno del singolo per esistere, poiché è il prodotto della vita sociale e dell’attività collettiva dell’uomo. L’evoluzione culturale dell’uomo è legata alla plasticità dell’encefalo che si attua in quanto posta in contatto con l’ambiente esterno e, in quanto attivata, lo modifica e si automodifica.

 

            Possiamo dire che il senso della società domina la mente del singolo, per cui la salute della mente dipende dal vero timore che l’individuo prova nei confronti della collettività.

 

“Per quel che concerne la vita fisica, è il sistema nervoso centrale che spinge gli organi a distribuire loro la quantità di energia spettante a ciascuno. Ma a essi la vita morale sfugge. La vita mentale, soprattutto nelle sue forme superiori, trascende l’organismo. Le sensazioni gli appetiti fisici esprimono lo stato del corpo, non le idee e i sentimenti complessi. Su queste forze del tutto spirituali non c’è che un solo potere: l’autorità inerente alle norme sociali.”  

                                                                                                                                                                                                                          E. Durkheim

 

Il concetto di contingenza

 

            Il progresso infinito e cioè l’impossibilità di connettere la serie dei mezzi con il fine implica di fatto l’emergere del senso di contingenza, che appare come il prodotto di una separazione della realtà dalle sue immediate finalità. La realtà è contingente poiché rivela la sua estraneità dal senso e dai contenuti propri ad un ordine naturale.

 

            E’ l’avvento del capitalismo che sconvolge il significato delle finalità ultime, separando l’uomo dalla logica immanente di uno scopo implicito al mondo.

 

Il capitalismo rompe il “naturale vincolo sociale”, stabilisce una serie infinita di mezzi che allontanano l’immediata comprensione dei fini dell’uomo. Il fine si sposta progressivamente verso una infinità sempre più vuota e incomprensibile.

 

            In questa direzione, la possibilità di individuarsi da parte dell’uomo, pare ora, dipendere non tanto da una sua collocazione nella sfera pubblica, quanto dalla ricerca di una propria autonomia soggettiva, producendo una perdita del carattere individuante della vita associata.

 

            Le certezze di individuazione sociale diventano più sfumate, e, al contempo l’uomo tende a ricercare se stesso e il significato della vita, al proprio interno, nell’ambito cioè della propria dimensione psichica. Ma tale ricerca appare sempre più difficile e problematica perché l’interiorità psichica è una realtà non razionalizzabile di per sé, poiché non può essere localizzata con la stessa certezza di uno spazio pubblico.

 

            La dimensione interiore, lo psichico, appare sempre più nella forma di una individualità posta in condizione di conflittualità tra la ricerca di una propria individuazione nella sfera privata ed in quella pubblica.

 

            Laddove il sociale non riesce più ad attribuire un significato individuante, e cioè quando la società si presenta priva di riferimenti simbolici per l’agire del soggetto, il senso di limitazione assume un carattere concreto sotto il profilo psichico.

 

            La dimensione psichica dell’uomo, da sempre, proprio per la sua vocazione relazionale, incapace di riconoscersi nel biologico, trova adesso difficoltà ad integrarsi anche nella sfera pubblica. La conseguenza è che il rafforzarsi dell’interiorità psichica è direttamente proporzionale all’allentamento del legame sociale.

 

            Lo psichico risulta così un sistema privo di orientamenti normativi (socioculturali), e sempre più incapace di costruire la propria identità.

 

Società consistente e società evanescente

 

“Lo scopo di ogni società si fonda sulla sua capacità di rimuovere la differenza vita-non vita, fino al punto che il suo carattere normativo scompare all’interno delle differenze simboliche.”

                                                                                                                                                                                                                 G. Piazzi

 

            Le asimmetrie sociali, le differenze di status sono aspetti visibili in ogni società e possono apparire con sfumature diverse, a volte con contenuti culturali antitetici, ma ogni società ha in comune con tutte le altre quella specificità che pone la differenza nei termini della distinzione tra una vita e un’altra vita.

 

Emile Durkheim, uno dei padri della sociologia moderna, ha individuato due grandi tipi di società, basate sui principi di solidarietà. La prima, quella meccanica, riguarda la società precedente all’avvento della borghesia, la seconda, quella organica, corrisponde alla società borghese.

 

Società a solidarietà meccanica

  

La solidarietà meccanica rappresenta il legame sociale propriamente detto, cioè per similitudine.

  

La solidarietà meccanica, costitutiva delle società arcaiche, si caratterizza per la quasi totale assenza di specializzazione individuale. Qui infatti la coscienza collettiva reprime ogni tendenza all’affermazione delle singole soggettività. La personalità non esiste, non esiste un io contrapposto alla società. La vita è totalmente assimilata al carattere simbolico della partecipazione del singolo alla vita associata. 

  

Società a solidarietà organica

  

La solidarietà organica si costituisce sullo sviluppo della personalità individuale, cioè per differenze.

  

La solidarietà organica è il prodotto di una trasformazione nell’ambito delle relazioni tra gruppi e si caratterizza per l’emergere della personalità individuale. La società moderna ha bisogno dell’individualismo, ma ciò non significa assegnare il primato etico all’individuo, il primato resta alla società. Le finalità individuali non possono mai costituire le condizioni per la realizzazione del legame sociale. Proprio per il fatto di essere prodotto della società, l’individualismo spinge gli uomini all’autorealizzazione, ma solo nei termini funzionali alla società

  

 

 

LA COMUNICAZIONE

COME SISTEMA AUTOPOIETICO

 

 

Ritualità, simbolismo, mitologia di massa e processo di rappresentazione

 

            Lo sviluppo di un evento drammatico, nel momento in cui viene descritto alla società, si propone come presa di coscienza della realtà, di cui rende partecipi i cittadini.

 

Le radici di questo tipo di rappresentazione possono essere rintracciate nella tragedia greca. Facciamo un esempio…

 

            Se Clitennestra uccide il marito Agamennone, la sua mano è armata dagli dei o l’atto deriva da una sua volontà preordinata? Due verità a confronto rappresentate e rese problematiche dal teatro. Attraverso la tragedia di Eschilo la città scopre il delitto e s’interroga su di esso; prende se stessa come oggetto di rappresentazione, mette in causa il “sociale”, ponendosi in termini dialettici col suo mondo mitico, portando il mito vicino al cittadino.

 

            La forma espressiva della tragedia può fornire un’interessante chiave di lettura per comprendere il legame tra rappresentazione dell’evento drammatico è comunità: un legame sinergico, il cui contenuto simbolico è finalizzato alla consapevolezza della collettività, e il cui rapporto con l’autorità è ancestrale. Il senso dell’autorità, in quanto ordine superiore, è espresso dalla simbologia legata agli dei antropomorfi, le cui più esaustive rappresentazioni possono essere rintracciate nei poemi omerici, ripresi appunto dagli autori drammatici.

 

            “E’ possibile che il senso d’atterrita pietà ancora spirante nella tragedia greca per la sorte dell’individuo abbandonato come un fruscello alla incurante ferocia degli dei sia un residuo dell’antichissimo terrore dell’uomo verso i cataclismi naturali, contro i quali aveva si debole difesa”.

                                                                                                                                                                                                                    S. D’Amico

 

         

   Il rapporto tra evento drammatico e comunità può essere considerato un elemento di statica sociale, che coinvolge tutte le epoche. Va però contestualizzato nell’ambito delle due tipologie sociali esaminate: società illetterata (teatrale) e società di massa (televisiva). Ci è utile comprendere i due “tipi sociali” sulla base di differenze e somiglianze che, di rimando, coinvolgono l’uso sociale dei mezzi di comunicazione.

 

            Alla base del processo di rappresentazione sta la relazione “individuo-società”. Utilizzando i paradigmi durkheimiani, individuiamo il significato della società nell’interazione delle coscienze individuali che formano un’autonoma coscienza collettiva, che si erge ad autorità morale, senza la quale l’uomo non potrebbe realizzare se stesso. La natura umana, dunque, non può che essere sociale…

 

            “Competizione, diffidenza, gloria mostrano l’essenza che sta al fondo di tutte le costruzioni sociali della realtà… Ogni determinazione storica della società è solo una forma di cui il sociale si riveste…”

                                                                                                                               P. Stauder 

 

            Nella dialettica tra società e sociale risiede il senso dell’evoluzione delle due tipologie. La società illetterata è una società fortemente stratificata, dove non si dà voce all’individualità, quindi la funzione del soggetto coincide con quella del gruppo di appartenenza, che da senso al sociale. La società di massa è invece debolmente stratificata; al suo centro sta l’individuo con la sua capacità di mobilità sociale, autonoma dalla coscienza collettiva.

 

            “L’economia borghese, attraverso il valore di scambio, libera il sociale dalle sue determinazioni storiche, culturali e simboliche, dunque dalla stessa società, al punto che sociale e valore di scambio coincidono”.

 

            In sostanza, nella società illetterate l’indole sociale dell’uomo era collegata alla finalità della natura o degli dei, mentre nella società di massa l’indole sociale può svilupparsi illimitatamente, in quanto processo infinito di capitalizzazione.

 

            Per ciò che concerne la rappresentazione dell’evento, possiamo analizzare il fenomeno storicizzando le differenze tra le modalità comunicative dei due medium: il teatro e la televisione. Lo strumento che ci permette di operare un’analisi comparativa è il paradigma dell’alfabetizzazione ad un nuovo medium elaborata da McLuhan, sviluppata ampiamente più avanti nella trattazione. Per adesso possiamo dire che secondo McLuhan l’avvento di una qualsiasi “tecnologia comunicativa”, che sia l’alfabeto, la radio o la televisione, costringe a ridefinire, in termini di sensorialità, un nuovo rapporto con l’ambiente sociale circostante, a seconda cioè se sia l’occhio o l’orecchio ad essere raggiunto dal medium.

 

            La tragedia greca vive dell’influsso rivoluzionario che la nascita d’una lingua strutturata come l’alfabeto ha per l’intera civiltà. Attraverso il linguaggio alfabetico inizia l’elaborazione compiuta dal mito, rappresentato dal teatro sotto forma di conflitto permanente. Nella società televisiva, il processo di adattamento all’alfabetizzazione sensoriale è molto più veloce, e la produzione d’una mitologia di massa risponde alle esigenze di consumo proprie al sistema capitalistico.

 

            Se i punti in comune sono l’alfabetizzazione e la costruzione d’una mitologia, esistono delle naturali differenze inerenti al ruolo del pubblico e alla funzione sociale. Il pubblico nella tragedia è partecipe, assiste in prima persona all’evento come risultato di un atto di purificazione che precede la rappresentazione. Il teatro da spazio d’interazione comunicativo assurge a sistema di significazione simbolica, nella determinazione dei valori propri alla collettività. Sull’identificazione di un sistema di significazione simbolica si fonda il senso stesso della comunità sociale, elemento centrale su cui si forma la coscienza collettiva. Simboli di appartenenza e condivisione esperenziale formano i pilastri del sistema normativo a cui l’ “uomo sociale” fa riferimento. Il mezzo di comunicazione è la fonte di un’attività rituale, a cui è demandato il compito di regolare l’immaginario collettivo e incardinarlo nel sociale.

 

            Nella società di massa è la televisione a rispondere alle esigenze dell’attività rituale, tesa a sviluppare processi emozionali, puntando su oggetti e situazioni sociali definite, che si trasformeranno in senso di appartenenza. Il mezzo esprime cioè le sue modalità in maniera direttamente proporzionale al tipo di legame sociale. Si tratta, in questo caso, di una società compartimentata, dove non è l’individuo a recarsi al “tempio”, ma è il messaggio che arriva direttamente in casa propria…

 

            Possiamo, quindi dire, che un evento rappresentato mediaticamente rappresenta, il tipo di società del momento in cui avviene la rappresentazione.

 

            “Attraverso il linguaggio si ha la costruzione del mito, che possiamo definire come un sistema di comunicazione che non si definisce dal suo messaggio, ma dal modo in cui lo si proferisce.”

                                                                                                                           R. Barthes

         

   Nell’odierno sistema sociale le funzioni di agenti di creazione mitologica sono demandate, in particolare, all’informazione e in generale alla comunicazione televisiva, appunto. C’è anche da dire che, come nel passato, anche oggi il mito possiede una funzione totemica, per cui soggetti e oggetti veicolati dai media assumono forte valore simbolico.

                           

Mitologia e autopoiesi

 

            Il fenomeno Rock viene solitamente connotato come musicale e/o culturale, legato al susseguirsi delle fasi generazionali. Ma è anche una delle più significative forme mitologiche del nostro tempo, che consente all’industria culturale, in quanto sistema, di autoalimentare il processo produttivo, nell’ambito del mercato culturale, trasformando il fenomeno in un sistema autopoietico, finalizzato alla capitalizzazione illimitata.

 

            Mediante gli schemi di seguito riportati possiamo così spiegare come il sistema discografico riesce a matenere in auge un fenomeno come quello dei Beatles, che, nell’anno 2000, a più di trent’anni dal loro scioglimento sono balzati in testa a tutte le classifiche di vendita del mondo, con una raccolta dei loro successi degli anni sessanta. E’ questo infatti il caso emblematico di un sistema in grado di guidare i propri processi di riproduzione, usando il marketing per la dilatazione del valore simbolico del mito, che il fenomeno Beatles ha rappresentato negli anni sessanta, e che oggi continua a rappresentare diventando un vero e proprio “modello archetipico”.

 

            Se dal punto di vista fenomenologico, Quello dei Beatles può essere considerato un modello originario, c’è anche da dire che esso contiene tutti gli elementi sistemici della produzione autopoietica dei beni simbolici.

 

            L’aspetto più interessante è che, di per sé, il fenomeno si è reso autonomo da se stesso. Se negli anni ’60 e ’70 il suo valore simbolico era anche, se non soprattutto, legato alla trasformazione dei costumi dell’epoca, oggi, che quelle trasformazioni sono state ammortizzate, e se ne sono generate delle altre, quelle canzoni scritte trenta, quarant’anni or sono, fanno praticamente parte del patrimonio comune del villaggio globale, riconoscibili da tutte le generazioni, non come modello di trasformazione ma come modello originario, alla basa dei processi culturali contemporanei.

 

            Ecco spiegato come è possibile che un prodotto discografico come “The One” possa balzare in testa alle classifiche di vendita nel 2000, senza che la radio, che ricopre le funzioni fondamentali del marketing discografico, se ne interessino. Questo dato è leggibile andando a comparare le classifiche di vendita dei dischi, con le classifiche internazionali dei dischi più ascoltati nelle radio di tutto il mondo, dove i Beatles non compaiono.  

 

Sistema autopoietico

 

Organizzazioni 

Industria culturale Investimento Capitalizzazione

Comunicazione  Mitologia

Consenso/Consumo

 

Cicli produttivi

 

Investimento Produzione Marketing Consenso-Consumo Capitalizzazione

Capitalizzazione Marketing  Mitologia   Consenso-Consumo 

 

Variabili

 

 

                    

INDIPENDENTI                                           DIPENDENTI

 

           Investimenti                                                  Produzione

 

              Marketing                                                     Mitologia

 

          Consenso-Consumo                                        Capitalizzazione

 

 

 

 

                                            DINAMICA DEI GRUPPI

 

 

La coesione del gruppo

 

            In un gruppo si ha attrazione reciproca tra membri mediante l’uso del concetto di coesione, che ne indica il grado di attrazione.

 

            Sono gli obiettivi che un gruppo si prefigge di raggiungere a costituire una maggiore coesione, tale da aumentarne la stima e la capacità ad affrontare eventuali problemi.

 

            La coesione può avere effetti sia positivi che negativi in relazione al comportamento del singolo all’interno del gruppo. Essa è utile al lavoro poiché accresce il senso di sicurezza dei componenti e la loro autostima. Il tutto influisce sulla produttività, ma sembra anche che il rendimento provenga dalla migliore cooperazione e dal buon livello di comunicazione all’interno dei gruppi.

          

Competizione e sottogruppi

 

            La competizione interna tra gruppi può portare alla diminuzione della coesione. Sono stati effettuati vari metodi di risoluzione a questo problema tramite due sistemi: carattere cooperativo, vale a dire “valutazione settimanale del lavoro”; carattere competitivo basato sul “rendimento individuale”. Entrambi i sistemi influiscono sul comportamento dei gruppi: il primo determina produttività ed entusiasmo nel lavorare insieme; nel secondo gruppo si ha una prevaricazione dell’uno sull’altro. Un ostacolo alla coesione è dato dal formarsi di sottogruppi, la cui rivelazione è data dalla “sociometria”, che consiste nella richiesta ad ognuno dei gruppi di avere come collaboratore un membro del gruppo opposto.

 

Limitazione della libertà nel gruppo

 

            Se consideriamo la questione delle libertà perse e ritrovate nel suo complesso, ci troviamo di fronte ad un ben ironico conflitto. A questo punto, i problemi che ci si pongono sono due: perché all’interno di un gruppo si perde la libertà individuale, e quali fattori concorrono ad accrescere il controllo del gruppo sui propri appartenenti?

 

            La maggior parte dei gruppi si pone una qualche finalità come ad esempio guadagnare del denaro, vincere delle gare, ecc… Per poter conseguire questi obiettivi si rende necessario fissare alcune regole operative di massima.

 

            Le regole sono necessarie a soddisfare i bisogni del sistema, quei bisogni cioè che mettono in grado il gruppo, inteso come sistema di entità relazionanti, di adempiere alle sue funzioni. Il sistema ha dunque come sua necessità di interferire con bisogni personali, cioè quello che gli individui vogliono per se.

 

Teoria dell’impatto sociale

 

            La teoria dell’impatto sociale sostiene che all’interno dei piccoli gruppi si realizza con maggior frequenza la libertà del singolo.

La teoria dell’ impatto sociale, fornisce gli strumenti di indagine su come preservare la libertà individuale all’ interno della realtà di gruppo, che è determinato da tre fattori:

1) numero degli agenti di influenza, l’opinione del singolo può variare e modificarsi in relazione all’ opinione data ad più persone;

2) la forza degli agenti d’influenza, in questo caso la forza del gruppo determina il punto di vista di un singolo, rendendolo più gradevole.

3) l’immediatezza, L’immediatezza aumenta il suo impatto sul singolo la cui compresenza nel gruppo ne determina il suo grado di conoscenza.

 

Distribuzione delle responsabilità e inerzia sociale

 

            La distribuzione delle responsabilità solitamente viene adoperata come giustificazione all’inerzia sociale. Essa evidenzia che la capacità di sforzo diminuisce quando il gruppo diventa più numeroso. Ciò porta ad una situazione, appunto, di inerzia sociale, poiché conseguentemente all’aumentare del gruppo lo sforzo del singolo diminuisce.

           

Processo decisionale

 

            La performance di un gruppo, solitamente, è sottoposta ad una serie di posizioni pregiudiziali, vediamo quali…

1)    Predisposizioni individuali – L’individuo esprime le proprie opinioni nel gruppo, tali da influenzarne le decisioni, e dopo essere state esposte vengono valutate le predisposizioni individuali, sebbene alla fine ognuno manterrà i propri pregiudizi iniziali, con il conseguente distorcersi della decisione finale.

2)    Le soluzioni minimamente accettabili – Quando un gruppo è alla ricerca di una soluzione, finisce col prendere per buona quella minimamente accettabile, precludendosi ogni altra possibile soluzione.

3)    Spostamenti di scelta – All’interno di un gruppo la scelta decisionale si basa su un concetto di rischio, che implica la consequenziale decisione innanzi ad un problema da risolvere.

 

La leadership

 

Possiamo prendere in considerazione due diversi tipi di leadership: Il modello democratico e il modello autoritario. Nel primo modello le scelte decisionali sono prese in sede collettiva, e le attività produttive vengono agevolate dalla collaborazione tra il leader e il gruppo. Nel secondo modello, diversamente, le decisioni vengono prese non in modo partecipato ma attraverso l’imposizione di azioni. L’efficacia o meno di uno stile dipende dalla situazione.

 

All’interno di questi due modelli possiamo distinguere due diversi stili di conduzione: il leader orientato al compito che si prefigge lo scopo di far raggiungere al gruppo risultati ben definiti; e il leader orientato alla relazione, più attento a far si che si mantengano buone relazioni all’interno del gruppo.

 

Entrambi gli stili possono essere efficaci, tuttavia il successo dipende dalle situazioni. La situazione del gruppo varia in funzione del controllo situazionale, cioè della facilità con cui il leader riesce a controllare i membri del gruppo. Tre sono le variabili che concorrono a determinare una situazione favorevole: a) lealtà e fiducia reciproca tra leader e gruppo; b) il compito è strutturato in modo che tutti i membri sanno che cosa fare; c) il leader ha la facoltà di distribuire ricompense e sanzioni tra i membri del gruppo.

 

L’interazione tra stili di leadership e fattori situazionali è data dal “basso controllo situazionale” in cui il leader orientato al compito può ottenere risultati migliori di quello di relazione. A ciò si aggiunga “l’alto controllo “situazionale”, in cui il leader orientato al compito è visto come colui che sta facendo un buon lavoro. Infine c’è il “moderato controllo situazionale”, in cui grande importanza ha lo specialista della relazione nel risolvere i problemi all’interno del gruppo.

  

 

GESTIONE DEL GRUPPO DI LAVORO

 

 

 La risorsa Riunione

 

La riunione del gruppo di lavoro è il luogo accreditato al monitoraggio delle informazioni.

 

Al suo interno la verifica tra le funzioni del processo produttivo è finalizzata a strutturare il percorso per il raggiungimento degli obiettivi.

La modalità di condotta della stessa viene a determinarsi su due direzioni: la dinamica relazionale e gli obiettivi produttivi.

 

In questa direzione si deve rileggere la riunione di gruppo come una specifica situazione sociale, dove l’efficacia della comunicazione è alla base della sua riuscita. Chi ha le responsabilità più grandi nella riuscita della riunione è il conduttore, che deve dirigere il percorso comunicativo, facilitando le dinamiche relazionali e imponendo il ritmo tematico, cioè la capacità di affrontare le “issues” della riunione. In tal senso potremmo dire che il conduttore è, in primo luogo, un “facilitatore della comunicazione”. Deve esistere un forte e convinto consenso su ciò che si sta facendo e su come si sta lavorando.

Motivazioni e fiducia sono gli elementi su cui si deve far leva nel coinvolgimento del gruppo di lavoro, per rispondere alle aspettative del gruppo stesso.

 

Le Tipologie

               

 

La riunione informativa

Incontri di presentazione di relazioni che hanno come scopo la comunicazione su precisi argomenti.

 

La riunione consultiva

Incontri dove vengono proposte ipotesi finalizzate alla realizzazione progettuale

 

La riunione eleborativa

Incontro dove vengono analizzate e pianificate strategie. Diventa decisivo contenere il numero dei partecipanti in un massimo di dieci unità, in modo tale da rendere la riunione efficace

 

La riunione decisoria

Riguarda un numero ristretto di persone che rappresentano la leadership dell’organizzazione, poiché al suo interno viene a determinarsi la gestione del potere.

 

Le Decisioni

            

 

Direttiva

Le scelte sono prese da una sola persona

 

Maggioritaria

Le scelte sono prese da un piccolo gruppo di persone

 

Consensuale

Decisione che trova tutti d’accordo, anche se non tutti favorevoli

 

Unanime

Le scelte trovano tutti d’accordo unanimemente

 

La preparazione

          

La riunione non può essere improvvisata. Deve avere un ordine del giorno dove siano elencati i punti da trattare, in special modo se si tratta di un incontro dove convergono varie tipologie. L’O.d.G. deve arrivare ai singoli partecipanti almeno tre giorni prima della riunione stessa. E’ necessario che i partecipanti seguano il percorso tematico, al fine di evitare che nel gruppo di discussione ogni partecipante conduca una propria riunione.

A tal proposito è importante che l’ordine del giorno viaggi allegato a del materiale di consultazione utile per la riunione.

  

I tempi

 

I tempi della riunione debbono essere quanto più rapidi possibile soprattutto se consultive: un’ora è il tempo ottimale.

  

 

Le barriere comunicative

 

“Basso livello d’ascolto”: quando si parla in tanti e nello stesso momento. Questo può avvenire perché la riunione non è stata preparata nel modo giusto o perché è nelle aspettative di qualche partecipante non raggiungere l’obiettivo della riunione o ancora perché il conduttore-facilitatore non ha fatto un buon lavoro.

 

Barriere inerenti alle dinamiche di gruppo

 

“Decisioni già prese”: può avvenire che la comunicazione si impantani su cose già superate.

 

“Ambiguità della leadership”: questo caso avviene quando esiste una dissonanza tra le parole e i fatti.

 

“Confusione dei ruoli”: quando non è ben chiaro chi è il conduttore del gruppo.

 

“Partecipazione deficitaria”: i partecipanti non si riconoscono nel gruppo, perché non vengono salvaguardate le loro aspettative o hanno paura di schierarsi.

 

“AMN”: corrisponde all’atteggiamento mentale negativo, e si ha quando o si accetta tutto senza discutere o si nega tutto pregiudizialmente.

 

Barriere tecnico-organizzative

 

“Mancata fissazione dei tempi”: non si rispetta l’orario d’inizio e non si fissa la chiusura, producendo caos.

 

“Fattori di disturbo”: telefono e accesso non controllato nella stanza.

 

L’atteggiamento mentale in positivo

 

            Abbiamo precedentemente visto come i principi che stanno alla base dei comportamenti umani variano in relazione a tutta una serie di “parametri” determinati dalla capacità che ognuno di noi possiede nell’essere in linea col proprio Sé. Quando questo non è ben strutturato riversiamo nel mondo sociale le nostre paure, le frustrazioni, attribuendo agli altri o alla società nel suo complesso i nostri stessi errori. Se la ricerca del “capro espiatorio” è una delle componenti più antiche dell’umana specie, c’è da dire che esso è semplicemente il riflesso della nostra incapacità di rivolgerci alla vita in termini costruttivi…

 

            Dietro di noi c’è sempre un “nemico”, atavica trasfigurazione delle nostre debolezze. Questo nemico dev’essere distrutto perché solo così è possibile la nostra “salvezza”, in termini di autoconferma.

 

            Su questo piano si manifesta l’aggressività, che si traduce in una sorta di autodifesa, senza la quale non ci riconosceremmo più. Ma l’aggressività, maschera dell’insicurezza, rappresenta naturalmente l’altra faccia di un conflitto permanente che viviamo con noi stessi, e che ci porta a distruggere il mondo sociale circostante, senza renderci conto che alla lunga distruggiamo noi stessi, in termini di azioni sociali dotate di senso. Infatti, se i nostri sistemi di relazione vengono inficiati da modalità conflittuali il risultato prodotto sarà la “morte sociale”, cioè l’annientamento degli stessi sistemi di relazione. Questo perché l’individuo, a differenza delle altre specie animali, superano il “principio biologico della differenza” vita-morte, per allinearsi al principio vita-vita. Cioè a dire: il problema principale per l’essere umano non è la sopravvivenza fisica, ma la relazione con il sociale. Inficiare il sistema di relazioni significa l’isolamento, che per un essere umano equivale alla morte fisica per gli altri animali, poiché essi debbono in primo luogo salvaguardarsi da un ambiente ostile, a differenza degli esseri umani che il loro ambiente lo hanno essi stessi configurato.

 

            E’ facilmente comprensibile, dunque, che un approccio al sociale come quello descritto vanifica qualsiasi tipo di obiettivo che ci siamo posti, sia esso personale che di gruppo… Quando parliamo di obiettivi intendiamo mete produttive, come la ricerca di un lavoro o il guadagno economico o ancora la riuscita ottimale di una operazione nel mondo professionale.

 

Un atteggiamento negativo, arrendevole o distruttivo impedisce l’interazione col sociale, che deve essere costruita su una buona organizzazione dei sistemi di relazione, basati su affidabilità, rassicurazione, fiducia…               

        

            In tal senso parliamo di AMP, cioè a dire “Atteggiamento Mentale Positivo”. Pensare in positivo, anche di fronte alle problematiche che possono sembrare più estreme, può diventare una risorsa fondamentale per la risoluzione delle stesse. Pensare positivo vuole anche dire riuscire, a trovare e fare proprio l’aspetto positivo di qualsiasi esperienza, anche quella più drammatica, ribaltando i piani della collocazione esperenziale, anziché autocondannarsi al peggio…

 

Il Team e la mediazione

 

            Il lavoro di gruppo determina tutta una serie di condizioni a cui rispondere senza le quali sarebbe impossibile ottimizzare i risultati. Nel momento in cui diverse individualità vanno a convergere all’interno di un sistema, per di più gerarchizzato, essi debbono in primo luogo sposare un’unica filosofia di lavoro. Ciò presuppone l’accettazione ed il rispetto di regole strutturate all’interno del sistema. In ciò sta la condivisione degli obiettivi produttivi, che debbono essere perseguiti nel rispetto dei ruoli e delle funzioni all’interno del team.

 

            E’ compito, almeno in linea teorica, di chi dirige il team creare le condizioni migliori per svolgere le mansioni e ottimizzare le risorse. Questo obiettivo è possibile raggiungerlo attraverso una comunicazione efficace tra i membri della struttura, ma anche rispondendo per quanto possibile alle aspettative dei singoli, determinando un piano di mediazione tra aspettative e bisogni del singolo e obiettivi aziendali.    

 

 

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